Dal nuovo Csm ai voti alle toghe, così i referendum possono migliorare il testo approvato

Ermini (Pd): "Utopia eliminare le correnti con la legge elettorale". Fdi vuole presentare una mozione sui temi dei quesiti. Ed è scontro

Dal nuovo Csm ai voti alle toghe, così i referendum possono migliorare il testo approvato

Da un lato il via libera del Cdm alle modifiche alla bozza della riforma della Giustizia, che propone tra l'altro il cambio del sistema elettorale del Csm e lo stop alle porte girevoli tra politica e magistratura, dall'altro la spada di Damocle dei quesiti referendari proposti da Radicali e Lega, e con l'appoggio del centrodestra, di Iv e di parte del Pd, sui quali dopodomani si pronuncerà la Consulta.

Il gioco delle riforme va avanti a velocità variabile, e se dalla Corte Costituzionale arriverà il via libera, sarà la democrazia diretta a imporre il cambio di rotta e a fare da stimolo al Parlamento, costringendolo a inseguire su temi certo specifici, trattandosi di modifiche tramite referendum abrogativo, ma rilevanti.

Si va dalla riforma del Csm alla responsabilità diretta dei magistrati, dal cambio delle regole nelle valutazioni dei magistrati alla separazione delle carriere, dai limiti agli abusi della custodia cautelare all'abolizione della Legge Severino. E negli ultimi giorni sono arrivati un paio di segnali confortanti per i sostenitori del referendum. Il primo ha come mittente il neo-presidente della Consulta, Giuliano Amato, che ha detto due giorni fa, facendo rilanciare le sue parole dall'account Twitter della Corte, che «i referendum sono una cosa molto seria e perciò bisogna evitare di cercare ad ogni costo il pelo nell'uovo», e che è necessario «impegnarci al massimo per consentire, il più possibile, il voto popolare».

E ieri ha detto la sua il vicepresidente del Csm, David Ermini, che parlando a SkyTg24 ha negato che i referendum siano di ostacolo alle riforme parlamentari e si è detto favorevole al voto sui quesiti, una volta ottenuto il via libera della Corte Costituzionale. Ermini ha anche ammesso che la norma attuale sulla responsabilità civile delle toghe è «probabilmente insufficiente», riservando semmai una critica alla bozza di riforma del sistema elettorale uscita dal Cdm due giorni fa, e definendo «utopia» sperare che «una legge elettorale da sola possa eliminare i vizi relativi al correntismo e al carrierismo». Insomma, sul referendum è stata fumata bianca, quantomeno rispetto alle posizioni espresse nei mesi scorsi dallo stesso numero due di Palazzo dei Marescialli, decisamente più critiche sulla via referendaria alla riforma della giustizia. E così anche il comitato promotore, ieri, commentando le voci «riprese dai giornali» che «parlano di parere negativo per buona parte degli 8 quesiti proposti», tra cui anche i due su eutanasia e cannabis, si è augurato che «i giudici della Corte non cerchino il pelo nell'uovo evocato anche dal presidente della Consulta Amato e nei fatti diano seguito alla richiesta dei cittadini espressa tramite lo strumento referendario». A mantenere agitate le acque, oltre all'attesa per il verdetto della Consulta, sono piuttosto le fibrillazioni nel centrodestra. Con la leader di Fdi, Giorgia Meloni, che mercoledì scorso, intervistata dal direttore della Stampa Massimo Giannini, ha fatto prendere al suo partito che era già contrario a due quesiti su sei una posizione divergente dagli «alleati» del Carroccio. Dicendosi pronta alla campagna referendaria in primavera, ma premettendo di trovare «incomprensibile che le istanze contenute nei quesiti non possano trovare rapida soluzione legislativa in Parlamento, facendo risparmiare centinaia di milioni di euro agli italiani». E aggiungendo di voler depositare «in questi giorni una mozione in tal senso». Insomma, Fdi vorrebbe giocare d'anticipo, mettendo il Parlamento al lavoro su quei quesiti per smontare il referendum. Una mossa che, stando a quanto dice Andrea Delmastro Delle Vedove sempre alla Stampa, non sarebbe «ostile» al referendum ma ne sfrutterebbe semplicemente l'effetto propositivo (ma, appunto, solo per 4 quesiti su sei).

Un punto che non piace al Carroccio, con la responsabile Giustizia Giulia Bongiorno che ricorda come quei sei quesiti «non si possono certo cambiare con un emendamento votato dal Parlamento», poiché «toccano questioni costituzionali».

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