Si chiama Odessa, ma è la vera Danzica di questa guerra. Una Danzica rimasta fin qui in secondo piano rispetto ai fronti più sanguinosi, ma pronta a rivelarsi una spada di Damocle capace di infrangere i piani di Mario Draghi, Emmanuel Macron e Olaf Scholz e spingere Europa, Nato e Stati Uniti a un bivio drammatico. Un bivio in cui l'Occidente dovrà scegliere tra l'intervento militare diretto o un rassegnato ritiro a seguito del quale l'Ue sarebbe costretta a farsi carico di un'Ucraina ridotta a relitto statuale.
Il perché è presto detto. I leader europei confidano che l'«operazione speciale» si fermi dopo la conquista russa del Donbass per lasciar spazio a un negoziato in cui l'Ucraina, candidata alla Ue, si avvarrebbe del sostegno europeo. Ma la prospettiva non tiene conto dei piani del Cremlino. Benché Macron (e Scholz) ripeta di voler dialogare con il suo omologo russo, i piani di Vladimir Putin sembrano andare in tutt'altra direzione. Il presidente russo non punta più a un'interlocuzione con l'Europa, ma a una vittoria a tutto campo che gli consenta di tornare a negoziare alla pari con Washington. Non a caso, proprio ieri, Angela Merkel, uno dei pochi leader in grado d'interpretare il Putin pensiero, spiegava che l'ipotesi di un negoziato «per ora non si pone». E a confermarlo contribuiscono i passaggi dell'intervento al Forum economico di Pietroburgo in cui Putin spiega che «l'era dell'ordine mondiale unipolare è finita» e annuncia di non volersi fermare fino al conseguimento di tutti gli obiettivi. Quegli obiettivi sono ben chiari. Nella sua visione la partita dell'Ucraina non è solo una partita territoriale, ma un autentico risiko strategico e geopolitico da cui dipende la capacità della Russia di continuare a contrapporsi agli Usa sullo scenario internazionale e riconquistare un ruolo da grande potenza. La chiave di tutto ciò non si nasconde, per Putin, nel Donbass, ma a Odessa e nel Mar Nero. Conquistando lo sbocco al mare da cui transitava il 50% delle esportazioni di Kiev e il 90% del grano venduto sui mercati mondiali il Cremlino trasformerebbe l'Ucraina in un Paese fallito non più in grado di reggersi sulle proprie gambe e incapace di progettare una riconquista dei territori perduti.
Ma non solo. Un'Ucraina ridimensionata geograficamente ed economicamente, costretta a pesare su Europa e Stati Uniti, rappresenterebbe anche la condizione ideale per rivendicare un vittoria non solo territoriale, ma globale. L'unica vittoria che consentirebbe a Mosca di trattare con Washington non solo la fine delle sanzioni, ma anche i limiti all'espansione della Nato in Europa. I piani del Cremlino richiedono però un passaggio degno d'una partita di poker. Una partita in cui la mossa più azzardata, ma anche più temuta dai nemici, è il rilancio su Odessa. Rifiutando l'ipotesi scontata di un negoziato al termine della conquista del Donbass e mandando le sue navi e la sua artiglieria a chiudere l'assedio al porto sul Mar Nero Putin costringerebbe l'America, la Nato e l'Europa a scegliere tra una vergognosa e inaccettabile ritirata e un confronto militare dagli esiti difficilmente prevedibili. Un confronto in cui l'amministrazione Biden dovrebbe rinunciare all'impegno fin qui perseguito di evitare uno scontro diretto con la Russia. E in cui la Nato rischierebbe di fare i conti con la riluttanza di troppi Paesi europei.
Certo per un esercito russo provato da mesi di durissimi scontri e per una flotta del Mar Nero che ha mostrato molti limiti il confronto con la superiorità tecnologica della Nato rischia di trasformarsi in un disastro.
Ma molti al Cremlino e dintorni sono convinti che l'Occidente, fuggito dall'Afghanistan, non avrà, alla fine, la forza di riscattarsi in Ucraina. Un bluff da brivido in cui la carta più temuta resta quello dell'escalation nucleare.
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