E adesso l'unica certezza è lui, Paolo il Tiepido. A mezzanotte, quando cominciano a impazzare gli exit poll e a impazzire la maionese politica italiana, quando si capisce che serviranno almeno altre 24 ore per far sedimentare le cifre e stabilire se il voto ha prodotto una maggioranza, il presidente del Consiglio si ripropone come il solo punto più meno fermo della situazione. «Domani? Sarà un normale lunedì di lavoro», aveva confidato qualche ora prima, a un vicino di fila al seggio. In serata Gentiloni arriva a Palazzo Chigi dove rischia di restare ancora per un bel po'. Smarcarsi da Matteo? Giocarsi la propria partita? Fare asse con gli anti-Renzi per scalare il Pd? No, spiegano i suoi, non è nei suoi piani, comunque non è il momento. Ora bisogna governare.
Profilo basso, rasoterra. Una giornata in penombra: un quarto d'ora di coda disciplinata al liceo classico Albertelli insieme alla moglie Emanuela, due chiacchiere distese con gli altri elettori in attesa del suo turno, le foto di rito mentre mostra la scheda, strette di mano, sorrisi vari. Si apre un periodo incerto, serve una forza tranquilla e rassicurante, sia pur provvisoria. Ma in Italia si sa il provvisorio spesso diventa definitivo.
Se già prima lo chiamavano Er Moviola, figuriamoci adesso che deve camminare sulle uova. E se Europa, finanza internazionale e mercati fanno il tifo per lui, anche Sergio Mattarella punta molto su Gentiloni, almeno per l'immediato. I tempi si preannunciano piuttosto lunghi, il mese di marzo se ne andrà per l'insediamento del nuovo Parlamento e la nomina dei presidenti delle Camere, le consultazioni partiranno ad aprile. Se a spoglio finito i risultati dovessero confermare le difficoltà a mettere in piedi una coalizione di governo, il capo dello Stato potrebbe imboccare la strada di un pre-incarico, o addirittura di un mandato esplorativo, una soluzione che permetterebbe alla personalità prescelta di verificare l'esistenza di una maggioranza senza far venire meno la reggenza dell'attuale esecutivo.
Visto dal Colle, sarà il tempo a risolvere, forse, il rebus. Intanto c'è Gentiloni a tenere la barra, anche in caso si dovesse andare a nuove, non immediate, elezioni, navigando almeno qualche mese con il vento contro antisistema. O chissà anche di più, come è successo in Spagna e in Belgio. Il nodo principale, da sciogliere nelle prossime ore, è la tenuta del Pd, perché la sconfitta è una cosa, il tracollo è un'altra e un punto in più o in meno stavolta faranno la tutta la differenza. Un centrosinistra che, stando ai rilevamenti, è al terzo posto come coalizione, non è certo un buon viatico per il futuro. Tanto più che dal Nazareno il capogruppo Enrico Rosato parla apertamente di andare all'opposizione.
Legato a questi numeri pure l'altro problema esistenziale del premier, il rapporto con Renzi. Nei giorni scorsi Gentiloni ha ripetuto «la lealtà» verso il segretario, tuttavia una piccola manovra di sganciamento l'ha fatta. «Non so se mi sono mai definito un renziano.
Ma con tutte le evidenti differenze tra noi, e nonostante qualche occasionale divergenza di opinioni, abbiamo dimostrato di saper gestire i nostri rapporti e i nostri differenti ruoli con vantaggio per il Paese». L'origine di tutti mali, ha detto al Corriere, è il referendum, dove «il Pd ha subito una sconfitta seria che ha indebolito la leadership di Matteo». E Gentiloni, è più forte?
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