Coronavirus

La linea dura del Cts: coprifuoco alle 22 e palestre chiuse

Oggi il vertice con il parere finale sui protocolli. Il centrodestra e le Regioni spingono per anticipare le ripartenze. Ma il mondo scientifico fa muro: "È ancora troppo presto". La minaccia: non è così scontato il giallo ovunque da lunedì

La linea dura del Cts: coprifuoco alle 22 e palestre chiuse

C'è l'impalcatura del prossimo decreto e anche il cronoprogramma delle riaperture, ma prima di varare il provvedimento, tra domani e giovedì, il governo aspetta il parere degli esperti del Cts che si riuniscono oggi per esprimersi sulle misure che accompagneranno la ripartenza. Dal 26 aprile l'Italia riaccende i motori, anche se gradualmente. Ma non è tutto scontato. Non è detto, infatti, che lunedì tutte le Regioni abbiano dati da zona gialla, dipende dall'esito del monitoraggio settimanale del venerdì dell'Iss. Per ora sono 13 quelle che hanno i numeri per essere «promosse».

In vista della stesura finale del decreto la tensione è alta, le Regioni portano avanti le proprie istanze, le categorie spingono per allargare le maglie delle restrizioni. In particolare è il coprifuoco a dividere. Il governo ha fatto sapere che per il momento non si tocca, rimane alle 22, troppo presto per pensare di allungarlo con la curva epidemiologica che decresce, ma troppo lentamente. Bisogna evitare a tutti costi la movida e gli assembramenti per non rischiare che i contagi si impennino di nuovo. Ma le associazioni di categoria spingono per spostarlo almeno alle 23, visto che riaprono i ristoranti all'aperto anche di sera. Lo slittamento di un'ora favorirebbe anche i cinema, che potrebbero almeno contare sullo spettacolo delle 20,30, altrimenti precluso. Ma il pressing delle Regioni a guida centrodestra e del leader della Lega Matteo Salvini per ora non sembra aver fatto breccia nei rappresentanti di governo, convinti che le aperture vadano fatte con gradualità e prudenza. I numeri non sono così buoni da abbattere le restrizioni. Per il sindacato dei medici ospedalieri «allo stato attuale sono ci sono le condizioni per riaprire, i numeri dei contagi e delle terapie intensive sono ancora alti». È dunque praticamente certo che il Cts si esprimerà contro lo slittamento del coprifuoco, l'orientamento è quello di mantenerlo almeno fino a metà maggio, poi si deciderà in base ai dati.

Allo stesso modo per gli esperti è troppo presto per dare il via libera ai ristoranti che non hanno spazi esterni. Il decreto, infatti, come annunciato dal premier Draghi, consentirà la ripartenza della ristorazione, a pranzo e a cena, solo all'aperto. Ma quasi la metà dei locali non ha spazi esterni, tanto che Fipe-Confcommercio ha già sottolineato che «riaprire solo le attività che hanno i tavoli fuori, significa prolungare il lockdown per oltre 116mila pubblici esercizi». I ristoratori più svantaggiati stanno facendo pressione per poter aprire, almeno a pranzo, negli spazi interni, con protocolli rigidi che garantiscano il necessario distanziamento tra i tavoli. Ma è improbabile che, con il parere contrario del Cts, il governo ceda su questo punto. Non per il momento, almeno. Anche questa questione potrebbe essere ripresa in considerazione a metà del prossimo mese. Se i contagi lo consentiranno, dunque, prima della data già fissata del 1° giugno.

Sul tavolo degli scienziati c'è anche il dossier palestre. Gli addetti ai lavori sono rimasti sconcertati dalla notizia che non potranno riaprire prima del 1° giugno. Dopo sette mesi di stop erano pronti ad accogliere i clienti e ora premono per anticipare, almeno con le lezioni individuali. Lo stesso le Regioni, che vorrebbero far ripartire prima le palestre e dal 15 maggio anche le piscine coperte, non solo quelle all'aperto che sono la minoranza e vincolate al meteo. Il Cts è pronto a valutare i protocolli, sui quali però ha già espresso alcune perplessità, in particolare sull'utilizzo degli spogliatoi. Del resto è chiaro che la maggior parte dei tecnici considera le aperture in questo momento, con la campagna vaccinale in corso, più che altro una concessione alla politica, nulla che possa essere sostenuto dai dati scientifici.

Al centro della riunione di oggi anche la questione del pass vaccinale per spostarsi tra le Regioni arancioni e rosse e per partecipare a determinati eventi e dei rischi degli spostamenti. Si sa che il pass dovrà certificare l'avvenuta immunizzazione, l'esito negativo di un tampone o l'avvenuta guarigione, ma non sono definiti i dettagli pratici. Probabilmente in una prima fase basterà un certificato che dimostri una delle tre condizioni, ma si stanno valutando altre ipotesi, come quella di caricare i dati sul tesserino sanitario o di realizzare una card digitale. Potrebbe essere rivalutata la app Immuni, come ha fatto la Francia che sta utilizzando la sua applicazione per il tracciamento anche come lasciapassare per i viaggi. Ma non tutti condividono l'idea del pass.

Il farmacologo Silvio Garattini lo considera «discriminatorio»: «Il tampone negativo non è come un vaccino».

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