Ok della Camera al nuovo Senato con amministratori non pagati

RomaSarebbe stata solo un'altra noiosa votazione quella di ieri del ddl Boschi sulle riforme costituzionali, se non ci fosse stato lo psicodramma interno a Forza Italia. La Camera ha, infatti, approvato con 357 voti a favore, 125 contrari e 7 astenuti il testo che limita le prerogative legislative del Senato e le competenze delle Regioni.

Palazzo Madama avrà funzione di rappresentanza degli enti territoriali e «dimagrirà» da 322 a 100 posti: 95 senatori che non verranno retribuiti saranno nominati fondamentalmente dalle Regioni (scompariranno, infatti, le Province), mentre altri 5 saranno di nomina presidenziale, resteranno in carica solo 7 anni e non potranno essere riconfermati. Il nuovo Senato avrà una funzione legislativa molto ridotta: attuazione delle politiche europee, valutazione dell'attività delle pubbliche amministrazioni ed espressione dei pareri sulle nomine del governo.

Solo la Camera sarà titolare del rapporto fiduciario con l'esecutivo, che potrà contare su tempi certi per l'approvazione dei provvedimenti proposti. Per l'elezione del capo dello Stato non saranno più necessari i delegati regionali, avendo di fatto già «traslocato» a Palazzo Madama. Soppressa, infine, la competenza concorrente tra Stato e Regioni in materia legislativa, introdotta con la riforma del titolo V della Costituzione del 2001. Saranno redistribuite le discipline tra competenza esclusiva statale e competenza regionale, ma è prevista una «clausola di supremazia» che stabilisce la preminenza della legge statale anche su materie regionali per ragioni di tutela dell'interesse nazionale.

L'esito della votazione era scontato sin dall'inizio: il Pd e i suoi satelliti hanno i numeri per dare le carte alla Camera. Particolare sfuggito all'esponente Ncd Castaldini che ha rivendicato il ruolo decisivo del partito alfaniano nello scrivere «una pagina storica». Il Movimento 5 Stelle, come al solito, ha scelto di non partecipare lasciando sullo scranno un solo deputato, Danilo Toninelli a cui è toccato il compito dell'invettiva. «È davvero doloroso per me essere qui, ma lo faccio con l'orgoglio di chi ha il compito di testimoniare la contrarietà al tentativo di rovinare la Costituzione imposto con metodi fascisti», ha dichiarato. Basta cambiare il complemento oggetto e queste parole si potranno riutilizzare in futuro. Un po' più originale la Lega Nord. «Una riforma ipercentralista che apre a scenari da regime: è a rischio la tenuta democratica», ha commentato Matteo Bragantini.

Come detto, senza i dissidi interni a Forza Italia, i cronisti avrebbero dovuto annotare solo la rappresentazione beckettiana del disagio della minoranza del Partito democratico. Un malessere che ormai ha assunto i contorni della paranoia, visto che pressoché tutti gli antirenziani hanno votato «sì» per disciplina di partito, infarcendo di postille, note a margine e distinguo le loro successive dichiarazioni.

Al fondo di tutto c'è sempre una costante. Il trionfalismo di Renzi e del suo codazzo politico-mediatico di clientes . «Un Paese più semplice e più giusto. Brava Boschi, bravo Fiano (il relatore piddino, ndr ), bravi tutti i deputati di maggioranza», ha twittato.

E poi via con una sequela di retweet dei suoi parlamentari entusiasti. Se non altro il premier si è reso utile, i suoi encomiasti non hanno dovuto faticare per redigere la laus renziana quotidiana: bastava visitare il suo profilo sul social network, copiare e incollare.

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