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Ombre turche e terroristi. Al vertice sulla Libia contano tutti tranne noi

Dal summit con Merkel e Macron, Conte esce a pezzi. L'Italia deve cambiare strategia

Ombre turche e terroristi. Al vertice sulla Libia contano tutti tranne noi

«In Libia abbiamo ancora alleati?» E soprattutto: «Chi sono i nostri nemici?» Le due domandine dovrebbe bastare a toglier il sonno al premier Giuseppe Conte e al ministro degli esteri Luigi Di Maio. Certo gli annunci del generale Khalifa Haftar che giura, per l'ennesima volta, d'esser pronto a prendere Tripoli per «liberarla dai terroristi e dai traditori» va preso con le molle. Se però c'aggiungiamo le promesse del presidente turco Recep Tayyp Erdogan, altrettanto pronto a mandare le sue truppe a difendere Tripoli, allora è chiaro la situazione libica è vicina al tracollo. Ma è altrettanto evidente che il vertice di ieri a Bruxelles tra il nostro premier, la Cancelliera Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron non ci mette al riparo da disastrose ripercussioni. Soprattutto se la sintesi dell'incontro è la narcotica solfa di un Conte capace soltanto di auspicare una «soluzione politica con voce unitaria» per rispondere agli «attori anche stranieri».

Bella scoperta. Non servivano Macron e la Merkel per scoprire che in Libia i padroni della situazione sono Turchia e Qatar a Tripoli ed Emirati Arabi, Egitto, Francia, Russia e ultimamente pure Israele, alle spalle di Haftar. In un trilaterale di quel tipo un'Italia adeguata al preteso ruolo di potenza di riferimento doveva indicare le azioni politiche da seguire a livello europeo per riportare al tavolo delle trattative Haftar e Serraj. Ma il nostro premier è il primo a non saper da che parte voltarsi. Il dossier Libia, che Conte s'è cocciutamente intestato sia durante il governo giallo verde, sia durante quello attuale, è irrimediabilmente vuoto. E per questo l'Italia è ridotta ad una posizione di irrilevanza senza precedenti. Per constatarlo basta il trattato marittimo turco-libico firmato alle nostre spalle dall' «alleato» Serraj. Un trattato che Erdogan può impugnare per bloccare le attività dell'Eni davanti alle coste libiche e a quelle di Cipro. Il perché dell'irrilevanza è facile da comprendere. I droni Bayraktar TB2, indispensabili per fronteggiare gli assalti di Haftar, sono prodotti da un'azienda di proprietà di Selçuk Bayraktar, genero di Erdogan. Sempre dalla Turchia, anche se a pagarli è il Qatar, arrivano i missili a guida laser Aselsan e il centinaio di blindati anti-mine «Kirpi» distribuiti alle milizie islamiste che difendono la capitale.

In tutto questo l'Italia si guadagna soltanto la pessima fama di alleato, seppur irrilevante, di uno schieramento che oltre a far capo alla Turchia di Edogan conta fior fior di terroristi islamisti e trafficanti di uomini. Mohamed Ben Dardaf, caduto il 26 maggio difendendo Tripoli, era uno dei responsabili dell'assalto al consolato Usa di Bengasi costato la vita all'ambasciatore Stevens e ad altri tre americani. Mohammed Kachlaf, comandante della Brigata martiri di Al-Nasr è indicato dall'Onu come il controllore del traffico di uomini a Zawiya.

Stare al fianco di gente come questa poteva essere utile finché controllavamo Tripoli e avevamo carte da giocare per ridurli a più miti consigli. Così, invece, rischiamo solo di diventare loro complici. E di ritrovarci senza nulla in mano se una delle milizie al soldo di Serraj si venderà ad Haftar aprendogli le porte della capitale. Anziché sperare in Francia e Germania meglio, forse, negoziare con Israele, Russia ed Emirati. In fondo a Tripoli Haftar non ha nessuno su cui contare.

E a lui l'Italia ha ancora qualcosa da offrire.

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