Riccardo PelliccettiL'Egitto cambia rotta e finalmente ha deciso di collaborare con la magistratura italiana per fare luce sulle torture e l'omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore universitario friulano scomparso al Cairo lo scorso 25 gennaio. Gli inquirenti italiani sono stati infatti invitati in Egitto per essere informati «degli ultimi sviluppi investigativi relativi alla sua morte». L'invito è stato fatto dall'ambasciatore egiziano a Roma, Amr Helmy, nel corso di un incontro con il procuratore capo Giuseppe Pignatone. La trasferta dei pm romani al Cairo è finalizzata anche a «individuare ulteriori modalità di collaborazione tra le due autorità giudiziarie - ha detto Pignatone - nell'interesse dei rispettivi Paesi».Un dietrofront importante e avvenuto solo pochi giorni dopo che il procuratore di Giza aveva detto chiaramente che avrebbe seguito da solo le indagini, pur collaborando con le autorità italiane. Dopo settimane di tensioni, versioni contrastanti e pressioni, il governo egiziano ha deciso infine che non vi era altra strada per evitare che il caso Regeni potesse in qualche modo mettere a rischio le relazioni tra Roma e il Cairo. Due giorni fa era intervenuto lo stesso presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che dopo aver incontrato i genitori del ricercatore ucciso aveva auspicato «l'impegno di tutti nella ricerca della verità». La scarsa collaborazione e le dichiarazioni contraddittorie sulle indagini delle autorità del Cairo avevano irritato la procura di Roma, che aveva lamentato l'incompletezza degli atti trasmessi dai giudici egiziani. Tra le altre cose, mancavano sia i verbali di alcune testimonianze, sia i dati delle celle telefoniche e i video delle telecamere di sorveglianza di metropolitane e negozi del quartiere del Cairo nel quale Regeni viveva e dal quale è scomparso. Tutti documenti richiesti esplicitamente dalla procura romana. Sul fronte delle indagini, nel frattempo, è emerso che il ricercatore italiano sarebbe stato colpito «con un violento colpo alla testa» tra le 10 e le 18 ore prima della morte, ma nei referti egiziani «non è menzionata la frattura del collo». Parole pronunciate dal procuratore capo di Giza, Ahmed Nagy, che indaga sul caso Regeni. Ma la sua versione, come altre volte, contrasta con gli esami effettuati in Italia, in base ai quali il giovane sarebbe morto per la frattura della cervicale.Sulla morte del ricercatore italiano è intervenuto ieri anche il Parlamento europeo, il quale ha chiesto esplicitamente all'Egitto di cooperare. Con una risoluzione approvata quasi all'unanimità, gli europarlamentari hanno condannato «con forza la tortura e l'assassinio del cittadino europeo Giulio Regeni». Il Parlamento ha invitato inoltre il Cairo a «fornire alle autorità italiane tutti i documenti e le informazioni necessarie per consentire lo svolgimento di indagini congiunte rapide, trasparenti e imparziali sul caso Regeni». Allo stesso tempo, gli europarlamentari hanno invitato il capo della diplomazia europea, Federica Mogherini, a «intrattenere scambi regolari con i difensori dei diritti umani» e garantire il sostegno ai detenuti e ad altri soggetti a rischio.
Un esplicito invito è stato fatto anche al servizio diplomatico dell'Ue e agli Stati membri affinché sollevino con il governo egiziano la questione delle sparizioni forzate e del ricorso abituale alla tortura e definiscano con l'Europarlamento una tabella di marcia sulle misure che l'Egitto dovrà adottare per migliorare i diritti umani nel Paese.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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