Manila Alfano
Q uando è stato davanti al peggior bivio, Puigdemont ha deciso di non svoltare e tirare il freno. Prende tempo così come ha fatto subito dopo quel 1° ottobre, la domenica del referendum. Il discorso di Puigdemont al Parlament, attesissimo e tesissimo non sembra aver dato i frutti sperati. I separatisti e gli unionisti, gli opposti che ascoltandolo si aspettavano la stessa cosa: una risposta che però non c'è stata. Non ha accontentato nessuno perché indipendenza sì, ma aspettiamo comunque una settimana. Sospesa per aprire un dialogo con Madrid. Gesto di generosità, lo ha definito lui. Sono stati giorni complicati e difficili, densi di appuntamenti, di pressioni, gli industriali che hanno fatto le valigie, le banche che se ne sono andate tutte dalla regione, il panico della gente, la corsa ad aprire i conti fuori. Ha dovuto Puigdemont far fronte alle pressioni dell'ala più estremista del suo partito, quelli duri e puri che vogliono andare avanti lo stesso, nonostante tutto, nonostante l'isolamento pericolosissimo. Il presidente dei catalani sa che indietro non si torna e muoversi in avanti ora pesa davvero.
Poche le alternative concrete. Andare allo scontro con Madrid gli costerebbe la sua stessa libertà. Andare a sbattere contro le autorità spagnole avrebbe un costo personale troppo alto che non tutti probabilmente sarebbero disposti a spendere per la causa. Spostarsi di lato e quindi tentare un arretramento, battere la strada del dialogo - ammesso che Rajoy lo voglia ancora - sarebbe un suicidio politico. Adesso - meno ancora che in passato - il suo popolo non lo accetterebbe. Proprio ora che l'esaltazione di massa è ancora in piena fase mistica e che la gente in strada urla «oppressori», «fascisti» parlando della madre patria. Avviato il motore dell'odio e delle rivendicazioni non si può spegnere facilmente, tanto meno che in una settimana. Termine temporale fissato dal presidente.
Oggi gli animi sono infuocati anche a Madrid. È questo il problema. Che una settimana sembra ben poca cosa per riaggiustare i rapporti. È stata una «tacita» dichiarazione di indipendenza che viene respinta, ha detto un portavoce del governo spagnolo. E ancora: «È inaccettabile fare una dichiarazione di indipendenza implicita e poi sospenderla in modo esplicito». Chiusura totale insomma, anzi, se possibile, ribadire ancora il concetto che non si può accettare di dare validità alla legge del referendum, sospesa dalla Corte costituzionale, e nemmeno si può dare per valido il conteggio di un referendum «fraudolento e illegale». Rajoy sa che oggi il vento soffia a suo favore. C'è l'Europa unita dalla sua. Lo sostiene e lo rafforza così come lo supporta il leader dei socialisti, Pedro Sanchez, e non lo ostacola - anche se lo vorrebbe più aggressivo - il capo dei Ciudadanos, Albert Rivera. Oggi il notaio grigio ce l'ha fatta. La sua immagine non è scalfita, anzi viene rafforzata. «Se il signor Puigdemont vuole parlare o inviare dei mediatori, sa perfettamente cosa fare: tornare nella legalità, che non abbandoneremo mai».
Puigdemont, peraltro, ieri ha perso ogni chance
residuale di interloquire con Madrid dopo che ha criticato esplicitamente il re, Felipe VI, accusandolo di «aver ignorato la voce dei catalani». Perché allora scendere a compromessi e negoziare ora che la Catalogna è sola?
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