Il sanguinoso attacco di Parigi «è il primo di una tempesta» ha dichiarato lo Stato islamico annunciando nuovi attentati a «Londra, Roma e Washington». Una dichiarazione di guerra in piena regola, ma l'Occidente e l'Italia hanno veramente la voglia e gli attributi per schiacciare il serpente e vincere, una volta per tutte, la sfida lanciata dal terrore?Per tagliare la testa al toro ed impedire la «tempesta» di attacchi a casa nostra bisogna sconfiggere militarmente lo Stato islamico. Non con un pugno di aerei e una serie di raid tattici favorendo la lenta avanzata dell'armata Brancaleone dei nostri alleati sul terreno, dai curdi alle milizie sciite, in Iraq e Siria. In realtà per vincere dobbiamo scatenare tutta la nostra potenza militare convenzionale. Non più «punzecchiature» con i caccia su obiettivi mirati, ma l'utilizzo intenso di bombardamenti strategici. A cominciare dai B52, che sono stati utilizzati con successo in Afghanistan dopo l'11 settembre. Non più un centinaio di raid al giorno, ma migliaia di sortite come abbiamo già fatto con Saddam a Baghdad e Milosevic a Belgrado. Per dare l'ordine ci vuole un certo pelo sullo stomaco, che nessun leader occidentale sembra avere a sufficienza. Il Califfato ha creato uno «stato» senza frontiere dalla Siria all'Iraq, che è grande come l'Italia, a parte le isole. Nelle due «capitali», Raqqa e Mosul, vive almeno 1 milione di persone comprese le famiglie dei combattenti jihadisti. Donne e bambini che i tagliagole usano come volontari scudi umani. Il cosiddetto Mondo libero, come fece nella seconda guerra mondiale radendo al suolo le città tedesche, ha ancora la forza di sopportare 50mila morti, comprese donne e bambini, per annichilire il Califfo? Probabilmente no e allora è inutile piangere lacrime di coccodrillo di fronte a stragi come quella di Parigi. Non solo: la forza aerea forse sarebbe insufficiente a piegare le bandiere nere, che potrebbero sopravvivere anche ad un uso massiccio dei bombardamenti.Per liberare il Kuwait dall'invasore iracheno, gli Stati Uniti mobilitarono la comunità internazionale chiamando alle armi mezzo milioni di uomini. Contro lo Stato islamico dovremmo fare lo stesso mettendo nel conto centinaia se non migliaia di perdite fra i nostri soldati.
Solo a Mosul l'intelligence italiana stima che ci siano almeno 4mila «pretoriani», i combattenti stranieri votati alla morte per difendere il Califfato. Il colonnello degli alpini, che guida la missione di addestratori europei nel nord dell'Iraq, ha paragonato il destino della capitale irachena delle bandiere nere «alla battaglia di Berlino». Ma saremmo veramente in grado di radere al suolo la città per far fuori il nocciolo duro del Califfo? Al momento l'Italia è impegnata nel nord dell'Iraq con 200 paracadutisti, che addestrano i curdi, un centinaio di carabinieri a Baghdad, che fanno lo stesso con la polizia irachena oltre a 4 caccia Tornado e droni in una base in Kuwait. I nostri velivoli, però, scattano foto per individuare gli obiettivi e farli bombardare agli alleati. Per lo Stato islamico non fa differenza e la rappresaglia ci può colpire comunque come i francesi, che hanno cominciato a bombardare in Siria. L'ennesimo cerchiobottismo tutto italiano è l'impiego dei corpi speciali solo nel ruolo secondario di addestratori. Le unità d'elite francesi, britanniche e americane dirigono con discrezione dalla prima linea nel nord dell'Iraq gli attacchi dei caccia. E partecipano a operazioni congiunte contro le bandiere nere assieme ai peshmerga, i combattenti curdi. I nostri hanno le mani legate a tal punto che sul terreno utilizziamo appena il 30 per cento delle capacità operative.
Dopo la carneficina di Parigi, però, avremmo il dovere di toglierci i guanti e spazzare via da Siria, Iraq e dalla vicina Libia lo Stato islamico senza se e senza ma, una volta per tutte. Altrimenti ci colpiranno, come in Francia.www.gliocchidellaguerra.it- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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