Guerra in Ucraina

Ora difendiamo gli interessi nazionali

Il Paese ha commesso degli errori, ma altri ci hanno danneggiato

Ora difendiamo gli interessi nazionali

«Quando parlano le sanzioni non parlano i cannoni» questa è la scelta che il nostro Paese ha compiuto, consapevole del fatto che le sanzioni si ritorcono in modo asimmetrico sui diversi paesi che le impongono. Questa scelta si collega all'altro principio, che ha retto la fase espansiva ed ottimistica della prima fase della globalizzazione a guida statunitense, secondo il quale dove passano le merci non passano gli eserciti e che ha spinto il mondo occidentale ad aprire il Wto in condizioni di favore alla Cina rafforzandola come un gigante economico, vero e proprio concorrente sistemico soprattutto nella lotta per l'accaparramento di materie prime che diventano sempre più strategiche.

Cina che si appresta a raddoppiare il gasdotto «Forza della Siberia», con portata equivalente a quella del mancato raddoppio del Nord Stream tedesco e che, come acquirente unico finirà per pagare il gas russo a prezzi di saldo, mentre noi per compensare l'improvviso ammanco dovremo fare ricorso al carbone che pensavamo di poter relegare alla storia.

Tutti, senza esclusione, ci siamo approvvigionati sul mercato dell'energia, laddove l'offerta è più abbondante e più a buon mercato, e non su quello della geopolitica che improvvisamente abbiamo riscoperto e di punto in bianco ci siamo resi conto che i tubi che riforniscono di gas gli Stati Uniti vengono dal Canada mentre i nostri provengono dalla Russia, dal Caucaso e dall'Africa del Nord.

Sì, gli Stati Uniti, che grazie alla rivoluzione dello shale da un decennio sono diventati esportatori netti e ora spingono per l'embargo immediato e totale degli idrocarburi di Mosca, ma al tempo stesso importano ancora 8% del loro fabbisogno di petrolio dalla Federazione Russa perché più a buon mercato di quello domestico e per sostituirlo si sono rivolti al Venezuela sotto embargo e non ai loro produttori domestici, che non intendono aumentare la produzione interna per non provocare un calo dei prezzi e degli utili per i loro azionisti, dopo la crisi provocata dal combinato disposto di eccesso di offerta e calo della domanda provocato dal Covid 19.

Qualcuno non a torto afferma che se dovessimo classificare i paesi che hanno fornito e riforniscono tutto il mondo industrializzato sulla base esclusiva di criteri di rispetto dei principi democratici, allora dovremmo tornare alle candele. Che dire infatti della Germania che il Nord Stream 2, che porta ulteriori 50 miliardi di metri cubi dalla Russia l'ha voluto e costruito sotto la spinta del più grande settore manifatturiero dell'Europa, nostro concorrente diretto, e che poi all'ultimo sulla spinta degli avvenimenti ha deciso di non usare.

Il cancelliere Scholz in cinque minuti ha cambiato cinquant'anni di OstPolitik. Bene! questo richiede la gravità del momento, ma per una sostituzione di fonti energetiche ci vogliono anni e non minuti.

E quindi mentre ci spargiamo il capo di cenere, riconoscendo che errori strategici sono stati commessi nella mancata diversificazione di paesi fornitori e tipologie energetiche, come non ricordare che tra gli aspersori vi sono coloro che hanno demonizzato la produzione nazionale e cercato di impedire la costruzione del Tap, l'unico nuovo gasdotto da Est che non provenisse dalla Russia.

Questo non significa sottrarsi ad una disamina dei nostri errori e delle nostre responsabilità, né ai sacrifici che a breve e medio termine tutti dovremo sostenere per ridisegnare il panorama energetico e garantire un futuro al nostro paese, significa non lasciare che la cenere dal capo finisca negli occhi e ci impedisca di avere una visione nitida nel difendere i nostri interessi nazionali.

(di Valentino Valentini. Vicecapogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati)

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