Sognava un «asilo senza limiti», ma fa i conti con un'Europa a pezzi. E con una Germania che le si rivolta contro. Il catastrofico fallimento di Angela Merkel tracima da tutte le sbrindellate frontiere di un Vecchio Continente travolto dallo tsunami umano che lei stessa ha evocato. Frontiere dove tutti si vanno adeguando alla decisione tedesca di ripristinare i controlli, con la notevole eccezzione dell'Italia. I primi a farlo sono gli austriaci, seguiti a ruota da slovacchi e olandesi e, nella serata di ieri, anche dai francesi: al valico del Brennero ieri mattina le guardie di confine di Vienna hanno fermato e rimandato in territorio italiano 60 migranti, nelle stesse ore in cui altri 80 raggiungevano la stazione di Bolzano diretti a nord; e il ministro degli Interni di Parigi Bernard Cazeneuve annunciava ieri sera l'intenzione di riprendere i controlli alle frontiere con l'Italia.
Se il generalizzato addio a Schengen è il segno più evidente dell'insuccesso della Merkel la crepe più pericolose per il suo futuro politico emergono dalla stessa Germania. Una Germania improvvisamente terrorizzata davanti ad una marea umana difficilmente quantificabile. Un terrore sintetizzato dal vice cancelliere socialdemocratico Sigmar Gabriel che annuncia, nonostante la sua matrice di sinistra, l'avanzata di «oltre un milione di profughi». Un'implicita sottolineatura degli errori di una Cancelliera convinta fin qui di cavarsela con un massimo di 800mila accoglienze entro la fine del 2016. Ancor più significativo è l'altolà di Horst Seehofer, leader della Csu, la formazione bavarese «sorella» della Cdu della Merkel. Non pago di aver liquidato il via libera ai profughi come «un errore destinato a venir scontato a lungo» Seehofer annuncia un incontro con Viktor Orbàn, il premier ungherese incarnazione di tutte le politiche migratorie antitetiche a quelle della Cancelliera.
Ma se la Germania di Angela trema, l'Europa già affonda. L'immagine più eloquente del disastro sono i giardini pubblici di Bruxelles. Lì - intorno al palazzo Justus Lipsius, dove i ministri europei cercavano ieri un accordo sull'immigrazione - bivaccano da sabato un migliaio di rifugiati. La falda freatica pronta a sbriciolare l'Europa s'allunga però dai confini di Austria e Ungheria. Qui l'annuncio, domenica sera, dell'inattesa ripresa dei controlli alla frontiera innesca - per l'inevitabile regola dei vasi comunicanti - lo spostamento di migliaia di rifugiati verso l'Austria. Domenica alle frontiere di Vienna se ne ammassano 14mila, arrivati dall'Ungheria e colti di sorpresa dalla decisione tedesca. E a quei 14mila se ne aggiungono, ieri, altri 7mila. Un'invasione che spinge il cancelliere Werner Faymann a mobilitare l'esercito per controllare i confini. L'epicentro del terremoto resta invece l'Ungheria. La nazione magiara, solcata dall'inizio dell'anno da oltre 190mila rifugiati, è lo snodo cruciale della rotta turco-greco-balcanica. Ma è anche l'icona dell'Europa contraria ai diktat umanitari di Berlino e Bruxelles. Un'Ungheria decisa a sostenere l'inviolabilità delle frontiere e i principi, improvvisamente desueti, dell'identità e della sovranità nazionale. Non a caso Budapest introdurrà oggi misure d'emergenza basate sull'internamento dei profughi pronti a farsi registrare, sul respingimento di chi non l'accetta e sull'arresto e l'incarcerazione di quanti varcheranno illegalmente le frontiere. Proprio in vista di ciò Budapest ha accelerato sabato la partenza dei treni di migranti diretti in Austria e Germania innescando il caos che ha spinto Berlino e Vienna a riattivare i controlli.
In tutto questo la vera goccia capace di far traboccare il vaso è la notizia del completamento, entro oggi, della barriera di filo spinato che sigillerà il valico con i
territori di Belgrado. Proprio quella goccia spinge, in queste ore, migliaia di rifugiati arrivati in Serbia a tentare il tutto per tutto per non ritrovarsi tagliati fuori dalla lunga marcia. E dal già infranto sogno tedesco.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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