La Cina è tornata. Dopo tre anni di isolamento causa Covid, ecco il messaggio che arriva dall'«imperatore» Xi Jinping, in chiusura della plenaria dell'Assemblea nazionale del Popolo, lo pseudo Parlamento cinese il cui sipario è calato ieri sulla Grande Sala del Popolo, in piazza Tienanmen. Eppure il grande ritorno di Pechino, che oggi si propone come paciere nella guerra fra Russia e Ucraina, promette di essere anche il detonatore di un nuovo conflitto nell'Indo-Pacifico, con l'isola di Taiwan come terreno di scontro, dopo che lo slogan «America is back» (l'America è tornata), sfoderato per primo da Joe Biden, è diventato l'emblema della nuova politica estera americana. Non è un caso che, a poche ore dal discorso di Xi, Joe Biden abbia parlato dalla Naval Base Point di San Diego, al termine di un vertice a tre con il premier britannico Rishi Sunak e l'australiano Anthony Albanese, del patto «Aukus» con Australia e Regno Unito, la più grande partnership militare da decenni, proprio in funzione anti-cinese nel Pacifico.
D'altra parte la Cina torna di prepotenza sulla scena internazionale, forte del successo ottenuto nella mediazione tra Iran e Arabia Saudita, che ha portato qualche giorno fa a un accordo per la riapertura delle relazioni tra i due Paesi dopo 7 anni. Pechino si ripropone come grande mediatrice del conflitto in corso in Europa, con la visita di Xi a Putin prima e un contatto con Zelensky poi, che sarebbero in programma la prossima settimana e dopo i quali, secondo il Wsj, il leader cinese non escluderebbe di visitare altri Paesi europei. Ma l'obiettivo pacifista di oggi si scontra con i venti di guerra che soffiano sul domani. «Il grande risveglio della nazione cinese è su un percorso irreversibile», ha detto Xi davanti ai quasi tremila delegati che venerdì scorso, all'unanimità, lo hanno rieletto presidente della Repubblica popolare e della Commissione militare per la terza volta consecutiva. Per «salvaguardare sovranità, sicurezza e sviluppo» della Cina servono «sforzi per modernizzare la difesa nazionale e l'Esercito popolare di liberazione su tutti i fronti», ha spiegato il nuovo imperatore a vita. È necessario «trasformare le forze armate in una Grande muraglia d'acciaio. La ragione? «I rischi aumenteranno», ha avvertito Xi, dopo che il Congresso ha già approvato quest'anno un aumento del 7,2% della spesa militare.
Un esercito forte a difesa di un nazionalismo altrettanto forte: «Dobbiamo attuare la strategia generale del Partito per risolvere la questione di Taiwan nella nuova era, aderire al principio dell'unica Cina», ha tuonato il presidente, spiegando che Pechino si opporrà «con fermezza alle interferenze esterne e alle attività separatiste per l'indipendenza di Taiwan, promuovendo con decisione il processo di riunificazione nazionale».
Quanto basta per far temere che l'invasione di Taiwan possa avvenire ben prima del 2027, data paventata da Xi. D'altronde, che non ci sia intenzione di aprire un dialogo con l'Occidente lo ha confermato la nomina di Li Shangfu a nuovo ministro della Difesa, visto che il generale è dal 2018 nella lista dei sanzionati dagli Usa per cooperazione con l'intelligence russa.
Che la prossima rischiosissima sfida con gli Stati Uniti si giocherà su Taiwan lo dimostrano movimenti e dichiarazioni delle potenze occidentali. Ieri il summit in California per suggellare la nuova alleanza tra Usa, Gran Bretagna e Australia per «la sicurezza nel Pacifico», il cui punto chiave è la vendita all'Australia di sottomarini americani e britannici a propulsione nucleare. Secondo il Times, il Regno Unito ha esportato a Taiwan, nei primi 9 mesi del 2022, componenti per sottomarini per quasi 200 milioni di euro.
«La Cina rappresenta la più grande minaccia di uno Stato ai nostri interessi economici, ed è una sfida sistemica per l'ordine mondiale», ha detto Sunak alla Nbc, dopo che il suo governo ha annunciato 5 miliardi di sterline extra per la Difesa.
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