Ristorazione, mese uno. A qualche settimana dalla riapertura dei locali - avvenuta alla spicciolata, alcuni ancora sono chiusi, altri forse non riapriranno più - ci sembra opportuno fare un primissimo bilancio di questa «fase due» della cucina di medio-alto livello. Confessiamo che anche noi ci siamo riavvicinati ai ristoranti con un po' di cautela. Il nostro timore era che i nostri locali prediletti avesssero perso un po' della loro magia, che i camerieri in mascherina e i tavoli distanziati ci avrebbero costretto a un'esperienza impoverita. Pian piano abbiamo capito che non era esattamente così, che mangiare fuori non era solo un atto di resilienza (che palle, 'sta parola) ma un qualcosa che aveva ancora un senso fare per il puro gusto di farlo. Malgrado ciò qualche cambiamento indubbiamente c'è.
Menu Non è cambiato nulla. Dove si mangiava bene si mangia ancora bene, dove si mangiava così così si mangia ancora così così. Avevamo immaginato che qualche chef avrebbe semplificato la sua proposta ma in realtà questo non è accaduto. E dobbiamo dire che leggiamo ciò come un segnale positivo.
Clientela Naturalmente è cambiata. La quota di locals è decisamente aumentata e questo favorisce i locali con un forte radicamento sul territorio e sfavorisce chi fa una cucina di contaminazione, oltre che naturalmente i ristoranti «in» e «di» albergo, penalizzati dal fatto che buona parte della loro clientela è composta dagli ospiti dell'hotel. Noi abbiamo comunque visitato locali quasi sempre piuttosto pieni, anche se in molti casi la «capienza» ridotta di circa il 30 per cento favorisce l'effetto sold out. In molti casi ha influito anche il fattore-bond. Ovvero la vendita durante il lockdown di buoni a prezzi spesso scontati per usufruire di pranzi e cene nel post-Covid. Un modo in cui i clienti abituali hanno «finanziato» i locali del cuore durante la chiusura forzata investendo su un piacere ritardato. Ora è il momento in cui questi «bond» vengono riscossi e il patto tra ristoratore e cliente viene rinsaldato.
Spazi La principale novità sta nel fatto che molti locali che prima non lo avevano, hanno valorizzato dehors e spazi aperti, che sono i più richiesti. Certo, ora è estate, ma si spera che per il ritorno del freddo tutto sia tornato alla normalità.
Atmosfera Certo qualche seccatura c'è: farsi misurare la temperatura corporea non è il migliore biglietto da visita per una serata luculliana, ma ormai ci siamo abituati. E decrittare le parole del cameriere con la bocca «ostruita» dalla mascherina non è sempre facilissimo. Il menu da leggere con il QR code non agevola la clientela più anziana. Ma alla fine vale quello che abbiamo scritto per il cibo: dove si stava bene prima in qualche modo si sta bene pure oggi (valga la magnifica esperienza che abbiamo raccontato la scorsa settimana da Trippa, locale di mood per eccellenza), mentre i locali asettici e poco empatici lo sono ancora di più. Ma in quelli non aveva senso andare neanche prima che il coronavirus provvedesse a scompigliarci la vita.
Orari È forse il cambiamento più importante, quello che più incide sulle nostre abitudini. La pausa pranzo è quasi scomparsa, ma ci sono novità anche a cena. Molti ristoranti per sopperire alla diminuzione dei coperti hanno istituito il doppio turno a cena. Qualcuno lo faceva anche prima, ma il primo «slot» era di solito terreno di conquista di tedeschi e giapponesi. Ora invece anche i locals quando telefonano per prenotare sentono proporsi un tavolo alle 19, quando fuori ci sono ancora 32 gradi e di solito si prende uno Spritz con le arachidi. Una deriva ospedaliera a cui molti clienti decidono di sottostare pur di andare nel proprio ristorante preferito.
Ci chiediamo se quando tutto tornerà normale questa «apericena» nobile resisterà. Lo scopriremo solo mangiando.Conto Si era temuto un aumento, si era sperato in una diminuzione. Nulla di tutto questo. Ok, il prezzo è giusto anche nel post-Covid.
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