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Orlando o Franceschini vice. Il Pd s'impunta sulle donne

La trattativa sui ministri si arena: per l'Economia ora spunta Gualtieri. I dem lanciano Ascani e Sereni

Orlando o Franceschini vice. Il Pd s'impunta sulle donne

Una nuova brusca frenata sulla via del nuovo governo. Le dichiarazioni di Di Maio al termine delle consultazioni ieri interrompono - temporaneamente - il valzer dei ministeri e delle nomine. Tranne quella chiave che potrebbe sbloccare tutto, ammorbidire i toni e riportare il sereno nel cielo giallo rosso: la poltrona del vicepremier, o dei vicepremier. «Per quello che ne so il tema del vicepremier non è centrale in questo momento. Nel senso che sia Di Maio che Zingaretti hanno deciso che sarà Conte ad affrontarlo», dice il pentastellato Manlio Di Stefano. Anche se per i 5S «il problema sono i punti del programma e non i dicasteri», la volontà di Di Maio di mantenere il posto da vice rischia di far saltare il banco. Il Pd continua a reclamare per sé un solo vicepremier, ma ha provato a lanciare un'offerta di mediazione: ok allo schema dei due vice, uno M5s e uno democratico, a patto che quello in quota M5s non sia Di Maio. Irricevibile per il capo politico che ieri si è detto «sconcertato per il surreale dibattito sugli incarichi. Era prevedibile il totoministri sui media con nomi di fantasia, ma non troviamo sano che questo dibattito contagi anche le forze politiche». Messaggio chiaro al Pd.

I dem vogliono mettere affianco a Conte a Palazzo Chigi Andrea Orlando o Dario Franceschini, che potrebbe in alternativa diventare sottosegretario alla presidenza del coniglio con una delega all'Editoria. Ma ci sono anche Vincenzo Spadafora (M5s) e la vice di Zingaretti, Paola De Micheli, da promuovere in posizioni chiave. Per il primo si profila il ministero della Famgilia o quello delle Pari opportunità, per la seconda lo Sviluppo economico. Che Di Maio lascerebbe libero insieme al Lavoro, per traslocare alla Difesa, al posto di Elisabetta Trenta, a patto però di mantenere il ruolo di vice di Conte.

Il Viminale è il più ambito dal Pd che vuole smontare i decreti sicurezza di Salvini. Ma ieri sul punto è arrivato l'alt di Di Maio, che teme la feroce opposizione mediatica dell'ex alleato sul tema immigrazione: «Riteniamo che non abbia alcun senso parlare di modifiche ai decreti sicurezza». Una doccia gelata per i dem. Che quel ministero lo ritengono già loro e propongono Marco Minniti, ex inquilino del Viminale, in alternativa Mario Morcone, ex prefetto e capo di gabinetto all'Interno, che invece quei provvedimenti li vorrebbe rivedere. È spuntato anche il nome del prefetto Alessandro Pansa, oltre che quello del magistrato Raffaele Cantone. All'Economia il Pd ragiona su Roberto Gualtieri, eurodeputato Pd, ma circola anche la possibilità di un tecnico come Dario Scannapieco, vicepresidente della Banca europea investimenti. Resiste, anche se in calo, Lucrezia Reichlin. Agli Esteri si fa largo il deputato piddino Enzo Amendola, ma anche la dem Marina Sereni, visto che l'ex premier Paolo Gentiloni viene ormai dato quasi certamente come commissario europeo. Dovrebbe così lasciare la Farnesina Enzo Moavero Milanesi, pur apprezzato da entrambi gli schieramenti: per lui l'ipotesi è gli Affari Europei dove corre però anche la dem Lia Quartapelle, esperta di esteri. Alle Infrastrutture al posto di Danilo Toninelli dovrebbe andare il collega capogruppo Stefano Patuanelli. Al ministero del Sud Di Maio chiede la conferma di Barbara Lezzi, così come di Alfonso Bonafede alla Giustizia e di Riccardo Fraccaro, che però dai Rapporti col Parlamento potrebbe passare alla Pubblica amministrazione. Più sacrificabile la Salute dove non è certo che resti Giulia Grillo.

Zingaretti, attento alle quote rosa, chiederà posti per le dem: Anna Ascani alla Cultura, Debora Serracchiani alla Famiglia, e per la già citata Marina Sereni.

Sulla possibile squadra ha ricevuto il segnale di Romano Prodi: «Con ministri tutti tecnici dopo 10 giorni il governo non avrebbe più forze».

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