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Gli ottant'anni del Senatùr. Ultimo sognatore federalista

Oggi il silenzio di Bossi pesa come un dissenso rispetto alla nuova linea. La stima degli imprenditori del Nord

Gli ottant'anni del Senatùr. Ultimo sognatore federalista

Ho tre ricordi personali di Umberto Bossi e partirò da questi nel giorno in cui il fondatore della Lega Nord compie ottanta anni. Il più recente: camminavo qualche tempo fa in via degli Uffici del Vicario quando mi sentii chiamare da un vocione ed era lui, l'Umberto che dal tavolo della gelateria Giolitti si sbracciava e così ci abbracciammo con amicizia cosa mai accaduta perché non sono mai stato leghista. Per qualche motivo si era consolidata una forma di reciproco e affettuoso rispetto.

L'avevo detestato quando minacciava la secessione e io sarei stato fra quelli che avrebbero preso il fucile per l'unità di patria. Ma nel totale disaccordo sentivo come tutti che Bossi è stato uno degli ultimi rivoluzionari con un'idea: voleva una patria che confederasse la Padania con le altre regioni che producono ricchezza in Europa, mandando all'inferno l'Italia rappresentata dalla sventurata città di Roma, colpevole di tutte le ruberie, magnerie a spese del laborioso uomo del Nord.

L'altro episodio fu alla buvette del Senato il giorno prima che lo colpisse quel malannaccio che lo costrinse fuori dall'attività politica.

Il terzo ricordo, il primo in ordine di tempo, fu venti anni fa durante la campagna elettorale quando fu eletto al Senato e andai a fare un comizio nel Bresciano con Umberto Bossi, il quale mi lanciò il microfono addosso dicendo: «Ecco, fai una parola». Quel «fai una parola» aveva un tono sbrigativo che per me era del tutto nuovo.

Ottant'anni non è più un'età speciale perché la vita media si è allungata e quindi avremo di che celebrare anche in futuro. Ma questo compleanno permette di ricordare la stagione in cui Silvio Berlusconi realizzò un piano geniale per mettere insieme la Lega di Bossi senza la quale non si sarebbe andati da nessuna parte con quel che restava del partito neofascista spoglio delle nostalgie del passato per presentarsi come destra moderna. Umberto Bossi era ed è accesamente antifascista e parlava con lo spirito di un partigiano con una postura tipicamente di sinistra.

Sappiamo dai suoi studi di medicina abbandonati e la stagione bohème con Roberto Maroni che suonava il sassofono, di Castelli che oggi sarà l'introduttore della grande festa di Pontida sul prato dei riti assolutamente inventati ma proprio per questo ormai storici di un mondo celtico che o non esiste oppure non ha lasciato grandi tracce ma Umberto Bossi ebbe questa idea generale di creare l'identità laddove era possibile compiendo il miracolo di offrire a una parte laboriosa e privilegiata di italiani un nuovo passaporto politico. Del resto, i grandi ideologi erano ancora uomini di alto profilo accademico e culturale come Gianfranco Miglio e gli studiosi del federalismo americano, tedesco e svizzero.

Bossi ha raccolto un'eredità nobile e che fu a lungo in competizione con quella unitaria che alla fine del Risorgimento (un ideale, peraltro, soltanto nordico): quella di un'Italia federale. La storia ne fece un patchwork sotto le insegne di casa Savoia. Bossi partì da quell'antico ideale abbandonato.

Silvio Berlusconi, una volta realizzata l'alleanza con Bossi raccomandava ai suoi di far sentire ai leghisti la comunanza politica liberale, che non era affatto un'ipocrisia ma una necessità politica. Oggi quella determinazione ideale di Umberto Bossi nel legarsi al leader del mondo liberale accende spente nostalgie perché oggi quasi nulla ha ormai un valore ideale e a difendere i valori della politica liberale è rimasto quasi solo Berlusconi, benché nella Lega di oggi si colgano degli accenni, ma sotto forma di velato dissenso.

Tutti sappiamo che Umberto Bossi è tutt'altro che convinto della linea di Matteo Salvini che ha trasformato la Lega in un partito nazionalista, fondato prevalentemente sulla necessità del nemico permanente: l'immigrato clandestino o tutto ciò che fa saltare i nervi all'italiano medio incalzato dalla paura.

Ma quello di Bossi era un disegno più grande con radici nel pensiero di Cattaneo e di federalisti non solo italiani. L'idea originaria di questo leader che oggi compie ottant'anni e al quale facciamo gli auguri di lunga vita, volava molto alto, prova ne sia che tutto il mondo della piccola media impresa del Nord si sentiva ben rappresentata.

Oggi Bossi riceve moltissimi messaggi di imprenditori liguri, lombardi, piemontesi e veneti che rimpiangono quel rapporto di rappresentanza in crisi da quando la Lega (non è più del Nord), ha trovato rappresentanti di accento ciociaro, calabrese, siciliano, laziale, pugliese distinti e distanti dall'idea di Umberto ai tempi eroici.

Chi gli sta vicino lo descrive insofferente e anche fa pesare il suo silenzio come dissenso.

Certo, non farebbe nulla per sabotare il suo successore ma considera la sua linea se non un tradimento almeno un opportunistico abbandono del sogno che è stato idealmente in competizione col Partito comunista, trovando un partner perfetto in Silvio Berlusconi, il quale portava in dote le bandiere cadute dell'Italia liberale ostile a tutte le forme di odio e intolleranza.

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