Cambiano i governi, si evolvono gli strumenti a disposizione del fisco per recuperare il dovuto dai contribuenti infedeli. Ma sul fronte dello Stato cattivo pagatore i progressi sono ancora pochi. La pubblica amministrazione italiana continua a liquidare le fatture dei creditori - privati cittadini, professionisti e imprese - in tempi non comparabili con quelli degli altri Paesi europei e lo stock del debito commerciale (un pezzo di debito pubblico nascosto alle statistiche ufficiali europee) resta alto come rileva l'ultimo studio sui debiti della Pa di Impresa lavoro, centro studi presieduto dall'imprenditore Massimo Blasoni.
I tempi di pagamento da parte del settore pubblico, secondo lo studio basato su dati ufficiali di Bankitalia e sull'European Payment Report di Intrum Justitia, nel 2018 si sono attestati a 67 giorni. Rispetto ai 104 giorni del 2017 c'è stato un calo «imputabile in gran parte alla fatturazione elettronica». Ma il distacco rispetto alla media europea, dove i pagamenti avvengono generalmente entro 42 giorni è ancora rilevante. «Tempi di pagamento così lunghi si ripercuotono negativamente soprattutto sulle piccole e medie imprese, costrette ad accettare termini di pagamento troppo dilazionati e spesso imposti dalle imprese più grandi». Il dato del 2018, «ci colloca al terz'ultimo posto in Europa, dopo Grecia (115 giorni) e Portogallo (75 giorni)». Il nostro valore attualmente supera di un giorno quello della Spagna, di 19 quello della Francia, di 39 giorni quello del Regno Unito e di 40 giorni quello tedesco.
In ballo non c'è solo l'efficienza dello Stato, spiega Blasoni. «Lo stock di debito resta enorme, lo Stato deve alle imprese 53 miliardi. Questo ritardo sistematico è costato loro la bellezza di 3,7 miliardi di euro, cifra generata dagli interessi passivi dovuti per anticipare il credito necessario a pagare i propri dipendenti e onorare gli impegni presi».
La stima, spiega Blasoni, è stata effettuata prendendo come riferimento il dato fornito da Bankitalia sullo stock complessivo e il costo medio del capitale (pari al 7,043% su base annua) che le imprese hanno dovuto sostenere per far fronte al relativo fabbisogno finanziario generato dai mancati pagamenti».
Il costo finanziario dei pagamenti ritardatari è paragonabile alla cifra che il governo intende mettere sul piatto per ridurre il cuneo fiscale, cioè la differenza tra il costo lordo del lavoro e lo stipendio netto che il dipendente mette in tasca. Se lo Stato decidesse di liquidare lo stock del debito, in altre parole, offrirebbe alle imprese un vantaggio finanziario pari a una generosa riduzione del costo del lavoro.
Un eventuale azzeramento dei debiti privati accumulati dallo Stato sarebbe a costo zero per quanto riguarda il deficit, anche se farebbe aumentare il debito. Il dato dei 53 miliardi di euro «conferma quanto abbiamo denunciato a più riprese», spiega il centro studi Impresa lavoro. «I debiti commerciali si rigenerano con frequenza, dal momento che beni e servizi vengono forniti di continuo.
Pertanto liquidare solo in parte con operazioni spot i debiti pregressi di per sé non riduce affatto lo stock complessivo: questo può avvenire soltanto se i nuovi debiti creatisi nel frattempo risultino inferiori a quelli oggetto di liquidazione».Senza una riduzione dei tempi di pagamento, il debito commerciale accumulato dallo Stato non arriverà mai a livelli europei. E le imprese continueranno a pagare un costo improprio.
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