Un selfie alle tre di pomeriggio sulla terrazzetta dei gruppi parlamentari, tutti insieme belli allegri con coraggioso sprezzo dell'afa, poi di corsa stipati in un taxi-van al Quirinale dove c'è l'aria condizionata ma poco da ridere. Gli ufo grillini entrano nel Palazzo in punta di piedi e intimoriti, come se sentissero su di loro il peso degli stucchi e degli arazzi della Sala delle Feste. O magari sentono lo sguardo pesante con cui Sergio Mattarella stronca sul nascere i tentativi di socializzare di Luigi Di Maio, quello che lunedì chiedeva l'impeachment e che adesso è ministro del Lavoro e Sviluppo. O, chissà, si accorgono della protocollare, perplessa formalità del presidente quando investe Giuseppe Conte del potere esecutivo.
Il professore si sistema alla sinistra del capo dello Stato e assiste alla sfilata dei «suoi» 18 ministri. La cerimonia è fredda e rapida. Il tutto dura meno di mezz'ora, foto di gruppo comprese, poi c'è tempo per una veloce bicchierata nei saloni attigui e un chiarimento tra Mattarella e Savona, concluso con «grazie presidente». Il governo giallo-verde può partire, ma l'opera di «vigilanza stretta» del Colle sul nuovo esecutivo populista è già scattata. «Cominciate a lavorare per il bene del Paese».
Conte è in blu accademico. Matteo Salvini non rinuncia alla cravatta verde e al braccialetto del Milan e sfoggia dei discutibili calzini azzurri. Enzo Moavero è il veterano, era qui con Monti e Letta e ora ha completato il giro. Tocca a lui rassicurare i partner internazionali. «Siamo un paese che sta riprendendosi in pieno dopo le difficoltà della grande crisi economica, che peraltro ha toccato tutto il mondo. Lavoreremo bene». Alle 17 Conte e a Palazzo Chigi e riceve la campanella del Consiglio dei ministri da Paolo Gentiloni. «Al lavoro».
Ecco lavorare. Dopo tre mesi di tarantella, dice il capo dello Stato, ora rimboccatevi le maniche. «Tensioni e prove - scrive ai prefetti - trovano nel quadro delle istituzioni repubblicane piena possibilità di espressione e composizione, in una nazione unita e solidale». Le divisioni forti delle scorse settimane vanno quindi lasciate alle spalle, la campagna elettorale è terminata, per questo chi adesso è al potere deve cambiare linguaggio. Basta vittimismo, non c'era nessuna congiura dei Palazzi contro il nuovismo, nessun tentativo di ostacolare le volontà dei cittadini espresse con il voto del 4 marzo. Tant'è che Lega e Cinque stelle sono entrate nella stanza dei bottoni.
E pure Mattarella abbozza una specie di programma. Cita «i disagi», parla di «interventi coordinati sui temi delle periferie, delle marginalità, delle nuove povertà», chiede «forme più avanzate di solidarietà verso le fasce deboli della popolazione, le famiglie in difficoltà, i giovani senza lavoro, gli anziani». Insomma, è «l'attenzione alle diseguaglianze che rende la società più forte», non le polemiche contro l'Europa. Savona non è più all'economia, il Colle ha vinto il braccio di ferro, però i pericoli di una burrasca non sono passati.
Poi c'è il controllo dell'immigrazione, cavallo di battaglia della Lega. «Il bene della sicurezza è responsabilità comune e tutti abbiamo il dovere di contribuirvi, con comportamenti ispirati alla piena legalità», però attenti a non scivolare «nell'intolleranza».
Chiude denunciano i rischi di un sovranismo spinto. «Va arrestata con fermezza ogni regressione civile in Italia e in Europa, affermando un costume di reciproco rispetto, mettendo a frutto la generosità e il dinamismo dei nostri concittadini».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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