Palermo onora Pignatone ma offende Roma

Palermo onora Pignatone ma offende Roma

Andiamo con ordine. Roma è la capitale d'Italia. Senza dubbio, la città più bella del mondo. La sede della prima religione del mondo, una città sacra. Tutto meno che una città criminale. Immaginiamo adesso che una persona ragguardevole, di grande storia personale e civile, venga chiamata mafiosa. Alcune persone, esattamente come Roma, sono valori universali riconosciuti. Non potrei sostituire con «mafia» la parola papa. Non potrei, se non insultandolo, chiamare mafioso un famoso direttore d'orchestra, o una istituzione come una università, chiamandola mafia Statale, mafia Cattolica, mafia La Sapienza. Con Roma si è potuto fare per quattro anni almeno, a partire dal funerale rom, non mafioso, di Vittorio Casamonica. Si è parlato di Mafia capitale.

Roma non aveva prerogative di città mafiosa, e un magistrato in carriera a Roma finiva in un luogo bello e comodo, in attesa della pensione, senza ottenere gloria né fama per la sua guerra a una criminalità mediocre e marginale. Insomma, a Roma nessun magistrato è diventato grande magistrato antimafia. Così, il calabrese Pignatone, nato a Caltanissetta, sostituto procuratore a Palermo, poi procuratore aggiunto di Piero Grasso, non ottiene la guida della procura di Palermo che il Csm attribuisce a Francesco Messineo, ed è stato temporaneamente procuratore della seconda capitale della mafia, Reggio Calabria, dove si sente al posto giusto. Malauguratamente nel 2012 viene nominato procuratore a Roma. E comincia a sentirsi a disagio, evidentemente, in una procura minore per importanza e grandiosità di reati. Crea così, e difende, fino a oggi (in una intervista a La Stampa), Mafia capitale. Tutto questo accade nel dicembre del 2014. Nel 2017, in primo grado, la tesi viene respinta, per essere confermata nel 2018 e definitivamente smentita qualche settimana fa dalla Cassazione. «Mafia capitale» ritorna «Roma capitale». L'impresa di Pignatone finisce, ma non è una questione marginale; è una questione di onore e dignità. Potremmo chiamarla un'offesa, una diffamazione. Infamare Roma è disumano. Una grave violenza.

E invece accade che la città sacra è infamata, senza che nessuno si scusi e il magistrato dia segni di pentimento. Il papa lo nomina presidente del Tribunale di prima istanza dello Stato della Città del Vaticano. E ancora più sorprendente è la notizia che il sindaco di Palermo, città storicamente capitale della mafia, offra a Pignatone la cittadinanza onoraria. Un uomo d'onore. Certo. Leoluca Orlando Cascio, come lo chiamava Cossiga. Un amico. C'è una certa finezza nella decisione, perché Leoluca Orlando è un uomo intelligente, e sa che Palermo è una meravigliosa città ma che è anche la capitale riconosciuta della mafia. Tecnicamente la cittadinanza si configura come il riconoscimento di un «concorso esterno» di Pignatone che estende a Roma il primato mafioso di Palermo. Con l'onore della cittadinanza invece di un processo per diffamazione per il grave insulto che ha portato su tutti i giornali e le televisioni del mondo il nome di Roma, a fianco della parola mafia, Palermo incorona e si riprende come cittadino il suo eroe. Se si scherzasse, se la cittadinanza a Pignatone fosse un episodio di «Scherzi a Parte», potremmo tutti divertirci. Ma Orlando ha voluto invece condividere il pensiero sbagliato di Pignatone, rivendicandone l'errore. Quello per cui ogni cittadino pagherebbe diventa così una onorificenza. Forse potremmo interpretarlo come l'ultimo gesto dadaista di Palermo capitale italiana della cultura.

Ricordo che Sciascia non fu nominato cittadino onorario di Palermo; e che, nel 1991, Giovanni Falcone, vero eroe della lotta antimafia, disprezzato e contrastato da Orlando, scrive nei suoi Diari, dei forti contrasti con Pignatone, che lo costringono ad andarsene da Palermo. Falcone se ne è andato per sempre da Palermo. Insultato da Orlando. Pignatone vi ritorna come cittadino d'onore.

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