Pamela, la chiave è in Nigeria: "Il killer è un vero macellaio"

Profughi e clandestino si accusano a vicenda. Smembrata da mani esperte, ora si indaga sul loro passato in Africa

Pamela, la chiave è in Nigeria: "Il killer è un vero macellaio"

Nigeriani, tutti e tre, due di loro «regolari» (Desmond Lucky, 22 anni e Awelima Lucky, 27) in quanto richiedenti asilo e uno irregolare, Innocent Oseghale, 29 anni: sono loro i tre presunti assassini di Pamela Mastropietro. Sono accusati di omicidio, vilipendio, distruzione, soppressione e occultamento di cadavere. Tre extracomunitari che facevano parte di quel «sottobosco» di Macerata in cui l'illegalità dello spaccio, della prostituzione, della violenza non sono che l'altra faccia della medaglia di una città in apparenza tranquilla. Tre giovani uomini dal passato pressoché sconosciuto. Di loro si sa solo che gli ultimi due fermati sono arrivati in Italia a bordo di barconi. L'ultimo è stato Awelima Lucky, sbarcato due anni fa ad Augusta. «Isha Boy», così lo conoscono tutti a Macerata e così è registrato sui cellulari degli altri due, viveva in un centro d'accoglienza ricavato in un bell'albergo di Macerata e in Italia c'è anche sua moglie che vive in un altro centro a Milano. Anche Desmond Lucky ha chiesto asilo in Italia, ma non è di certo con la paghetta da profugo che finanzia il suo vizio: scommettere su calcio, cani e cavalli in una mal frequentata sala giochi locale.

Oseghale è originario di Uromi. Per un periodo ha fatto il decoratore a Doha. Poi il trasferimento nel nostro Paese, dove ha avuto una figlia dalla compagna italiana. Tutti e tre hanno raccontato di avere avuto un lavoro in Nigeria, ma gli inquirenti pensano che si tratti di bugie, perché, sono convinti, almeno uno di loro deve avere una specifica competenza nel terrificante, ma preciso, lavoro di macelleria eseguito sul corpo di Pamela.

Il vero filo conduttore tra loro è la droga, ma il loro specifico ruolo nell'omicidio è tuttora dubbio e la verità si cela in mezzo a un rimpallo di responsabilità. «Non l'ho fatta a pezzi io», ha detto Desmond Lucky agli inquirenti. Ha ammesso di conoscere Oseghale, ma di vista. È nell'appartamento di Innocent, un attico in via Spalato, che il delitto si è consumato ed è lì che i carabinieri hanno trovato coltelli e mannaia con cui il corpo della diciottenne è stato fatto a pezzi. «È stato Desmond - ha invece accusato Innocent - gli ha venduto l'eroina, ma la ragazza si è sentita male e io sono scappato». Versioni discordanti, rese da chi vuol gettare le proprie responsabilità sugli altri. Ma il sospetto, più che fondato, è che la realtà dei fatti sia quella del branco che ha ucciso barbaramente una ragazzina. Desmond, in un primo momento non è stato accusato di omicidio, ma il confronto delle telefonate partite dal suo cellulare e da quello degli altri due indagati nella notte del delitto costituiscono prove schiaccianti. Le celle telefoniche hanno agganciato le loro utenze e, in maniera inconfutabile, chi indaga ha potuto appurare che tutti e tre i presunti assassini erano lì.

Dalla procura di Macerata fanno sapere che le indagini «non possono ritenersi affatto concluse.

Siamo in attesa - proseguono - di conoscere l'esito dei numerosi accertamenti di laboratorio», medico legali e del Ris. «I tempi non saranno brevissimi -dicono dalla Procura- e non c'è alcuna intenzione di fare giustizia sommaria».

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