Due pm a testa, in una sorta di confronto a distanza tra le due verità. Il giorno in cui Tiziano Renzi sfila in procura a Roma per difendersi dall'accusa di aver «trafficato» influenze insieme a Carlo Russo, nell'interesse di Alfredo Romeo che puntava ai ricchissimi appalti Consip, si apre con la ricomparsa di Henry John Woodcock. Il pm napoletano va in trasferta a Firenze col collega romano Mario Palazzi per raccogliere a verbale proprio la versione di Russo, nelle stesse ore in cui il papà dell'ex premier viene sentito nella capitale dall'aggiunto Paolo Ielo e dalla pm partenopea Celeste Carrano. L'idea degli inquirenti è di cristallizzare le dichiarazioni dei due indagati senza contaminazioni, e evidenziando eventuali incongruenze tra le testimonianze. «Andiamo a lavare i panni in Arno», ha scherzato Woodcock entrando in caserma. Ma il tentativo affonda quasi subito, quando Russo si avvale della facoltà di non rispondere.
A Roma, invece, va in onda la difesa a tutto tondo di Renzi senior, al grido di «abuso di cognome». Accompagnato dal suo avvocato Federico Bagattini, il babbo del rottamatore arriva in procura dribblando cronisti e telecamere intorno alle 15. E ai pm racconta la sua storia, che non ha quasi nulla in comune con il teorema della procura o con le testimonianze finite fino a ieri nel fascicolo d'indagine. Nega tutto. Mai presi soldi, giura. Mai conosciuto «il signor Romeo», mai incontrato «il signor Verdini», mai messo piede in Consip, mai fatti affari con i protagonisti veri o presunti dell'indagine. Mai saputo nulla dei «pizzini», semmai «chiedete a chi li ha scritti», dice. Ammette solo di aver conosciuto Luigi Marroni, l'ad della Consip, piazzato in quell'incarico dall'esecutivo del figlio Matteo.
Non un dettaglio. Perché Marroni ai pm ha raccontato di aver incontrato Tiziano un anno fa, a marzo 2016, in piazza Santo Spirito, a Firenze. In quell'occasione secondo il dirigente il papà del premier gli avrebbe chiesto di «accontentare» le richieste dell'amico Carlo Russo, persona di «sua fiducia» che proprio Renzi senior avrebbe presentato all'amministratore delegato in una precedente occasione. Ieri il babbo di Rignano ha confermato la data e il luogo dell'incontro, non certo il tema trattato. «L'ho visto solo per ribadire una vecchia richiesta, fatta quando Marroni era assessore alla Sanità in Toscana», mette a verbale Renzi senior. Che giura di aver domandato al manager pubblico solo di intercedere per aiutare un'associazione di volontariato fiorentina a «piazzare» una statuetta della Madonna di Medjugorje nel cortile dell'ospedale pediatrico Meyer nel capoluogo toscano. Insomma, la versione del diavolo e quella dell'acqua santa: difficile farle combaciare. Infatti a qualcuno degli inquirenti presenti scappa, in una pausa dell'interrogatorio, un giudizio un po' sommario sulla qualità della testimonianza di Renzi («Finora ha detto solo sciocchezze»). D'altra parte se il babbo del rottamatore rivolta le dichiarazioni di Marroni come un calzino, il suo avvocato taglia corto: le parole dell'Ad, per lui, «sono del tutto piene di inverosimiglianza». Inverosimile, per Renzi, è anche il pranzo nella «bettola» romana tra lui, Romeo e Russo di cui ha parlato il dem campano Alfredo Mazzei.
Agli inquirenti però il catenaccio di Tiziano Renzi non convince. Non collima con le convinzioni della procura.
Anche con quelle intercettazioni di Romeo, che valuta prima come versare soldi sul conto di Russo senza dare nell'occhio, ossia «sotto la mattonella», e poi chiede all'imprenditore di Scandicci se «il dottore ha gradito l'atto». Frasi che per i pm sono da mettere in relazione con flussi di denaro. Ma appunto, per Renzi senior non esistono né i soldi né Romeo.
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