Il Papa in Armenia perdona i turchi

Bergoglio ricorda il genocidio del 1915, per Ankara un nervo scoperto ancor oggi

Il Papa in Armenia perdona i turchi

Yerevan - Si dice Armenia e nel pronunciare il nome della piccola nazione caucasica traspare la storia secolare di un popolo che, forgiato nella fede, ha solcato le epoche in grembo alla tragedia. È stato il primo Paese cristiano della storia; fu in questa terra di transito e di conquista, infatti, che nel 301 il cristianesimo divenne religione di Stato. Divenne poi appendice di un regime sovietico, le cui crudeltà, perpetrate dal KGB, ancora sopravvivono cicatrizzate nella memoria degli armeni. È uno Stato che vive un conflitto aperto: nel Nagorno Karabakh costanti sono le incursioni dei soldati del regime azero ma, soprattutto, l'Armenia è un popolo legato, con un cordone ombelicale di dolore, al genocidio che nel 1915 i turchi commisero ai danni della popolazione. Oltre 1 milione e mezzo le vittime. E non si tratta solo di storiografia e dovere del ricordo; è attualità: questo è infatti l'argomento principe del viaggio apostolico che papa Francesco sta effettuando nel Paese racchiuso tra Turchia, Iran, Georgia e Azerbaijan.

Già l'anno scorso, in occasione del centenario della tragedia armena, il Santo Padre parlò senza timori ed esitazioni e definì il dramma del 1915 «il primo genocidio del XX secolo», provocando una crisi diplomatica con Ankara, che richiamò l'ambasciatore. Venerdì, atterrato a Yerevan, Francesco ha ribadito la sua condanna. Prima ha incontrato a Echmiadzin il patriarca di tutti gli armeni, Karenin II, poi nel palazzo governativo della capitale, ha così chiosato in merito al Metz Yeghern, il «Grande Male»: «Quella tragedia, quel genocidio, inaugurò purtroppo il triste elenco delle immani catastrofi del secolo scorso, rese possibili da aberranti motivazioni razziali, ideologiche o religiose, che ottenebrarono la mente dei carnefici fino al punto di prefiggersi l'intento di annientare interi popoli. È tanto triste che le grandi potenze guardavano da un'altra parte. Rendo onore al popolo armeno che, illuminato dalla luce del Vangelo, anche nei momenti più tragici della sua storia, ha sempre trovato nella Croce e nella Risurrezione di Cristo la forza per risollevarsi e riprendere il cammino con dignità». E ha proseguito dicendo: «auspico vivamente che l'umanità sappia trarre da quelle tragiche esperienze l'insegnamento ad agire con responsabilità e saggezza per prevenire i pericoli di ricadere in tali orrori». L'onore reso al popolo armeno da parte del Santo Padre è proseguito ieri mattina, quando si è recato al Memoriale del genocidio. Il biblico monte Ararat sullo sfondo, la quiete assoluta a permeare il luogo del dolore, la fiamma perenne e i fiori a omaggiare la memoria e Francesco, insieme al presidente della Repubblica Serz Sargsyan e al patriarca Karenin II, ha camminato tra due ali di bambini prima di chinare il capo al cospetto della storia e recitare il Padre Nostro. All'interno del Tzitzernakaberd, «la fortezza delle rondini», così è chiamato il Memoriale del Genocidio, il Santo Padre ha incontrato parenti delle vittime del massacro del 1915 e sul Libro d'Onore ha scritto: «Qui prego, col dolore nel cuore, perché non vi siano più tragedie come questa, perché l'umanità non dimentichi, sappia vincere con il bene il male. Dio conceda all'amato popolo armeno e al mondo intero pace e consolazione. Dio custodisca la memoria del popolo armeno, la memoria non va annacquata né dimenticata, la memoria è fonte di pace e di futuro».

E il rapporto di pace tra i popoli è stato centrale anche nel discorso celebrato da Bergoglio ieri sera in Piazza della Repubblica a Yerevan.

In conclusone non sono mancate parole riguardanti i vicini turchi e la regione in guerra del Nagorno Karabakh: «Dio benedica il vostro avvenire, conceda che si riprenda il cammino di riconciliazione tra il popolo armeno e quello turco. E la pace sorga anche nel Nagorno Karabakh».

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