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Il Papeete di Renzi

L'ex premier giura che farà saltare il banco dopo il Cdm di stasera sil Next generation Eu: "L'addio di Bellanova e Bonetti sarà la pietra tombale del Conte ter". Alta tensione con il Colle

Il Papeete di Renzi

Il «Papeete» a freddo di Matteo Renzi dovrebbe consumarsi tra questa sera e domani mattina. Quando, dopo aver approvato in Consiglio dei ministri il Recovery plan, Italia viva ritirerà le sue due ministre dal governo, aprendo - nei fatti - la crisi. Questa, almeno, è la road map che l'ex premier disegna per tutto il pomeriggio con diversi interlocutori. «Daremo il via libera al piano per il Next generation Eu - ripete senza troppi giri di parole in più d'una telefonata - solo per senso di responsabilità». E per venire incontro alla moral suasion del Quirinale, verso la quale il leader di Italia viva nutre più di una perplessità. Poi, appena messi in sicurezza i fondi Ue, le ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, insieme al sottosegretario Ivan Scalfarotto, si dimetteranno. E a quel punto Giuseppe Conte «sarà finalmente costretto a trarne le conseguenze». Venendo a mancare l'appoggio di Italia viva, infatti, il premier non potrà esimersi dal salire al Colle. E, aggiunge Renzi, «avremo messo una pietra tombale sul Conte ter», che diventerebbe impraticabile dopo una rottura così brutale. A quel punto, è infatti la convinzione del leader di Iv, il rapporto tra noi e il presidente del Consiglio sarebbe «irrimediabilmente compromesso». Cosa, in verità, che è già nei fatti da mesi, visto che tra Conte e Renzi i rapporti - politici e umani - sono ben sotto i minimi termini ormai da molto tempo.

Insomma, stando a quanto è andato ripetendo ieri e per tutto il giorno l'ex premier, l'esecutivo sarebbe ormai a fine corsa. Nonostante gli inviti alla ragionevolezza del Colle, che molto hanno infastidito Renzi («ma si sono accorti solo adesso che c'è da approvare il Recovery plan?», ironizzava polemico ieri con alcuni dei suoi interlocutori). E nonostante una crisi che finirebbe per consumarsi alla vigilia della terza ondata di contagi, con il Paese alle prese con problemi ben più seri delle beghe di cortile dei partiti. Una sciagura, politicamente parlando, per tutti i protagonisti della crisi. Ma, fa presente un ministro dem, «non per un Renzi che ormai guarda più al Palazzo che al Paese, dove il suo consenso non si schioda dal 3%». E che, se si tirasse indietro dopo aver alzato così tanto l'asticella, «finirebbe per fare la figura del quaquaraquà».

Anche nel Pd, insomma, iniziano a temere che il senatore di Rignano andrà davvero fino in fondo. Rimandando, di fatto, la palla a Conte che, salito al Colle, dovrebbe decidere se dimettersi o provare a sostituire i due ministri renziani andando poi a cercare i numeri in Parlamento. Scelta per nulla facile, visto che l'operazione-responsabili è ben più complessa di quanto si voglia far credere. Non tanto per una questione di numeri, visto che in momenti come questi sono in tanti quelli che guardano più alla poltrona che alla ragion politica, quanto perché difficilmente digeribile per i dem. Per Nicola Zingaretti, infatti, uno scenario con un governo sostenuto da Pd, M5s, Leu e una rappattumata banda di responsabili e con Italia viva all'opposizione sarebbe politicamente un suicidio. Significherebbe trascinarsi sui gomiti con un esecutivo destinato ad essere bombardato quotidianamente non solo dalle opposizioni di centrodestra ma pure da Renzi. Che in questi due anni che ci separano dalle prossime elezioni politiche - la legislatura finisce nel 2023 - avrebbe un gigantesco spazio di manovra per erodere a suo vantaggio una parte dei consensi del Pd. E finalmente «schiodarsi», per usare l'espressione del ministro dem di cui sopra, da quel 3% che lo perseguita da quando ha dato vita a Italia viva.

Insomma, se davvero tra stasera e domani mattina Renzi dovesse arrivare allo show down e ritirare la sua delegazione ministeriale, i successivi tasselli del puzzle non sono per nulla scontati. L'ex premier giura che a quel punto il Conte ter non sarebbe più praticabile, è vero. Ma per il Pd è proprio quella la strada più facilmente percorribile senza esporsi a pericolosi contraccolpi. Togliere l'opzione Conte dal tavolo, infatti, significa aprire la strada a tutti gli scenari, anche i più imprevedibili.

Ad eccezione delle elezioni anticipate che, viste anche le curve dell'indice Rt e il timore della terza ondata di contagi, appaiono sempre più improbabili.

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