Se la strage è questione di fratelli. Di sangue

Da Parigi a Beslan passando per Boston, quando l'orrore viaggia in coppia

Cherif e Said Kouachi, killer dell'assalto a Charlie Hebdo
Cherif e Said Kouachi, killer dell'assalto a Charlie Hebdo

E poi si saranno guardati, in una parentesi di silenzio in mezzo all'inferno parigino che porta il loro cognome. Cherif e Said per un momento avranno scostato Allah, i kalashnikov e il martirio e si saranno parlati come i fratelli che sono. Un pugno di affetto sulla spalla, qualche aneddoto di infanzia. Poi di nuovo in macchina per lasciarsi debolezze e famiglia alle spalle, verso la morte cercata.

Stesso padre, stessa madre, stessa guerra sporca e malata. Chi altro volere in trincea, al proprio fianco? I Kouachi sono solo gli ultimi fratelli di sangue versato del terrorismo mondiale. Musulmani, irredentisti, compagni, nazisti, anticolonialisti. Poco importa qual è il nemico, se è questione di famiglia. Prima di loro i fratelli Tsarnaev, ceceni di Boston. Tamerlan, più grande, pugile di carisma, e Dzokhar, faccia da boy band, che lo seguirebbe ovunque, persino nella folle idea di far esplodere una bomba alla maratona. Emulazione o infatuazione possono spiegare tanto. Il resto lo spiega l'antropologia che indagano gli indissolubili legami familiari di alcune società, come ad esempio quella cecena, appunto. Durante l'assalto al Teatro Dubrovka a Mosca muoiono i fradelli Khadizhat; a Beslan partecipano Khan-Pashi e Nur-Pashi Kulayev. Il più grande ha perso un braccio in battaglia, vuole morire e portare con sé centinaia di bimbi. Il secondo fa letteralmente da braccio destro al fratello, abbandonarlo è un sacrilegio. Ma l'orrore pesa troppo e le Erinni con lui sono benevole. Nella tragedia greca del Caucaso, Nur scappa per non macchiarsi della peggiore delle atrocità.

Musulmani i Kouachi, i ceceni, i tre fratelli Duka, albanesi condannati all'ergastolo per aver progettato di «uccidere più gente possibile» a Fort Dix, in America. Musulmani i due fratelli Nawaz, primi britannici a partire per la Siria; musulmani Shaban e Mohammed Hamad, attentatori di Hamas arrestati a Gerusalemme un mese fa. Ma la demografia è più eloquente della religione: le famiglie islamiche sono più numerose, più figli significano legami più solidi, sicché i fratelli diventano custodi l'uno dell'altro. Oppure dannazione reciproca.

Ma l'islam non ha il monopolio. I tre fratelli Chapekar vedevano l'India vessata dagli inglesi e solo facendosi forza l'un l'altro trovarono il coraggio di uccidere il commissario della peste locale, innescando l'indipendenza. I fratelli Arana, colti e gesuiti e per nulla terroristi, si completavano intellettualmente e diedero vita al nazionalismo basco di cui l'Eta fu frutto guasto. I fratelli Morlacchi, poi, erano dieci. Famiglia proletaria milanese, la Resistenza, il Pci, gli operai del Giambellino e la rabbia che monta e si moltiplica fino a spingere sei ragazzi a diventare brigatisti. Tutti discutevano di politica a tavola, si raccontavano il futuro sognato per la loro gente. Erano alleati e collaboratori che non si accorgevano di affondare nella violenza a braccetto. Qualcuno aveva parenti uccisi da vendicare, ideali sfregiati da rimettere in sesto con fucili e tritolo o frustrazioni mascherate da lotta di classe e patriottismo. Tutti hanno scelto per l'estrema battaglia il sangue del loro sangue, non capendo - come scriveva Dostoevskij nei Fratelli Karamazov - che «il sacrificio della propria vita è in parecchi casi il più facile dei sacrifici».

Ma se c'è un fratello che più di tutti ha segnato la storia, quello è il mite Aleksandr Uljanov, terrorista di Narodnaja Volja impiccato nel 1885 per tentato zaricidio. Suo fratello minore Vladimir, che vedeva in lui un faro, ne fu talmente scosso da seguirne le orme, seppur senza la stessa «pirotecnica rivoluzionaria».

Con la politica, Marx e il soprannome Lenin, vendicò il fratello distruggendo lo zar. Lo fece per amore fraterno o per pura convinzione, poco importa: quel che ne discese causò milioni di vittime. Come scriveva il franco-algerino Camus, «Che gusto schifoso ha qualche volta la fraternità».

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