Scatta selfie con i passeggeri che lo riconoscono in metropolitana (fino a due mesi fa la gente li chiedeva solo a Matteo Salvini quando giravano insieme i mercati) e si scalda per il primo confronto con lo sfidante del Pd Beppe Sala, questa sera alle 21 su SkyTg24. Stefano Parisi, candidato sindaco del centrodestra a Milano, salirà sul ring come il vincitore morale visto che è sceso in campo solo a febbraio contro l'ex commissario reduce da Expo e primarie, e al primo turno lo ha già agganciato. Sala è avanti ma lo scarto tra i due manager è di 5mila schede. «Abbiamo ridato un peso elettorale ai partiti del centrodestra - ha rimarcato ieri Parisi - Io vado avanti con Salvini e Silvio Berlusconi, il risultato che abbiamo raggiunto è stato ottimo. Partiamo da lì e vogliamo andare oltre quei voti». Punta ovviamente agli indecisi (il 45% degli elettori milanesi domenica scorsa si è astenuto), al bacino dei 10mila voti raccolti dall'ex sfidante dei Radicali Marco Cappato che incontrerà domani («credo di poter essere un interlocutore valido per loro») e soprattutto ai 58mila raccolti dal M5S rappresentato da Gianluca Corrado.
L'ex candidato grillino ha anticipato che al ballottaggio annullerà la scheda. «Capisco la sua posizione perché è stato in campo, ma io mi rivolgo soprattutto ai suoi elettori - spiega Parisi - dicendo che noi siamo una nuova proposta politica e punteremo molto sulla trasparenza e sulla legalità», i due temi clou della campagna pentastellata. «Siamo dei naturali interlocutori per loro, mentre Sala - ragiona - è la continuità con Pisapia. Mi pare di capire che l'elettore dei Cinque stelle solitamente non è per il governo in essere. In più vedo una aggressione violenta e veramente ingiustificabile del Pd verso il Movimento».
Sul fronte opposto, è scattata la grande fuga da Renzi (e viceversa). Il premier fiuta il rischio di sconfitta e potrebbe evitare un'altra sfilata a Milano accanto a Sala prima del 19 giugno. Se finirà male, sposterà il mirino sul ministro dell'Agricoltura Maurizio Martina che ha sponsorizzato Mr. Expo dalla scorsa estate. Ma il voto per le amministrative è diventato (anche) un voto anti-governo, un primo avviso di sfratto prima del referendum di ottobre sulla riforma della Costituzione, e anche Sala ora prende le distanze. «Chiariamo bene la distinzione, io sono stimato dal presidente del Consiglio, non sono stato fortemente voluto dal premier. Non sono un candidato renziano» ha puntualizzato nella conferenza stampa post voto. Anche il capolista del Pd Pierfrancesco Majorino, assessore uscente della giunta Pisapia, ieri ha preso il largo: «Non siamo riusciti a far capire abbastanza che qui a Milano c'è un tratto autonomo che non c'entra niente con Renzi». Majorino è stato il terzo più votato in assoluto alle Comunali e il primo nella coalizione di Beppe Sala, «e non c'entro nulla con Renzi - continua a rimarcare. Ci sono «molti cittadini di sinistra che non hanno votato Sala e sono molto indecisi su cosa fare per dare una lezione a Renzi, ma è in gioco il futuro della città».
Mentre Onorio Rosati, coordinatore lombardo della SinistraDem, riconosce che «il rischio di consegnare Milano alla destra è molto concreto» e «qualcosa evidentemente non ha funzionato quindi ora dobbiamo fare ogni sforzo e rinviare la caccia alle responsabilità», il Pd è colpito dalla solita sindrome di Tafazzi. È scattato il tutti contro tutti. Sotto processo finisce anche Gad Lerner, che è stato tra gli spin doctor di Sala sul programma e ha ideato con Pisapia la lista «Sinistra x Milano».
Ieri ha preso in giro i candidati Pd Daniele Nahum e Maryan Ismail che avevano contestato la presenza in lista di Sumaya Abdel Qader, esponente dell'Islam radicale. «Ha preso più voti di loro messi insieme» ha scritto Lerner sul suo blog. C'è chi gli ha consigliato una riflessione sul 3,6% incassato dalla sua «lista arancione». Non proprio un exploit.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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