Roma - Mal di pancia, arsenico e vecchi rancori. Il clima che si respira in Parlamento alla vigilia della grande partita per l'elezione del nuovo Capo dello Stato è elettrico, confuso e potenzialmente tempestoso. Il rischio di imboscate tra i grandi elettori è palpabile e gli esponenti delle minoranze dei vari partiti non lo nascondono. «Se esiste la possibilità che gli scontenti del Pd e di Forza Italia possano fare asse e mettere in comune i loro malumori? No, non esiste questa possibilità, esiste la certezza che questo accadrà, soprattutto se in sede di approvazione della nuova legge elettorale non arriveranno le giuste garanzie di durata della legislatura» confessa un deputato di lungo corso.
D'altra parte il Parlamento, nonostante sia trascorso soltanto poco più di un anno e mezzo dalla rielezione di Giorgio Napolitano, ha cambiato profondamente volto ed equilibri rispetto a quel 20 aprile 2013. Una vera e propria rivoluzione figlia di una sorta di calciomercato aperto tutta la stagione e costellato di entrate e uscite pressoché quotidiane, anche se in questo caso i «tifosi» - leggi elettori - non manifestano lo stesso entusiasmo degli appassionati di sport.
Il computo dei passaggi di gruppo è impressionante. Basti pensare che dall'inizio della legislatura siamo a quota 157 cambi di casacca, senza contare i tre annunci di dimissioni dal Parlamento (concetto sempre molto labile e di difficile applicazione pratica nel nostro ordinamento) arrivati ieri da tre parlamentari grillini. Ma al di là di questo mosaico dalle tessere impazzite ci sono anche i fattori di instabilità interni alle squadre parlamentari che rendono ancora più balcanizzate le Camere. Il Pd ha gruppi bersaniani al cui interno i fedelissimi renziani rappresentano una minoranza. C'è un drappello di parlamentari da mesi in bilico tra opposizione interna e scissione, ma anche tanti che restano «in sonno», mine vaganti che non si espongono ma digeriscono a fatica tante scelte della nuova segreteria, cercando di convivere con i nuovi equilibri. Una fetta sostanziosa degli attuali parlamentari Pd che sa che quando Renzi farà le liste non farà sconti o regali e vive con preoccupazione questa situazione. Tutt'altro che granitica la situazione dentro Forza Italia. Dopo la scissione di Ncd il partito di piazza San Lorenzo in Lucina deve ora fare i conti con i 37 parlamentari della componente fittiana. Le rassicurazioni offerte da Silvio Berlusconi sulla futura composizione delle liste sembrano aver stemperato alcuni malumori, ma le fibrillazioni non sono certo svanite.
Elementi di instabilità si ritrovano anche negli altri gruppi. Sel si è spaccata in due, con la confluenza di una parte della sua squadra nel Pd. Scelta Civica si è polverizzata in mille rivoli. I grillini perdono deputati e senatori ogni settimana ed è difficile capire quale controllo abbiano i capigruppo sul loro drappello di deputati e senatori. Ncd ha linee diverse al suo interno, con una parte del partito che spinge per il ritorno nell'alveo del centrodestra e chi ci ha preso gusto con l'avventura governativa e vuole godersi il momento fino in fondo, rinviando i ragionamenti sul posizionamento strategico il più tardi possibile.
L'Udc vive la consueta divisione soft tra «casiniani» e «cesiani». E perfino la Lega deve scontare qualche dissapore tra i maronian-tosiani e i salviniani, dissapori destinati potenzialmente a salire di tono qualora la competizione tra i due aspiranti leader dovesse inasprirsi.
Insomma nessun gruppo è granitico. E il voto per il successore di Napolitano potrebbe davvero rivelarsi il meno «controllabile» di sempre. Una sorta di grande lotteria del malcontento pronta a trasformarsi in un poligono di tiro per i franchi tiratori.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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