Parte la prima Leopolda di governo, sfidata in piazza dalla Cgil (ma il premier non si spaventa certo per questo: «È finito il tempo in cui una manifestazione di piazza può fermare il governo», manda a dire alla Camusso che pensa ripercorrere le orme del Cofferati contro Berlusconi), e stavolta è chiaro che le prove generali del Partito della Nazione sono in pieno corso.
Incoraggiate dai numeri, se è vero che secondo il sondaggio Ixè realizzato ieri per Agorà su Rai 3 ben il 55 per cento degli elettori del Pd vuole puntare sulla «Big Tent», il partito «pigliatutto» trasversale e post-ideologico di Renzi, lasciandosi alle spalle le ormai decrepite radici Pci-Dc. Il 28 per cento si dice contrario, il 17 per cento non si è ancora fatto un'opinione. Per lo stesso sondaggio la fiducia in Renzi sarebbe in calo di due punti, dal 49 al 47%, ma resta incomparabile con quella negli altri leader (Grillo al 19%, Berlusconi al 17%).
Ieri sera l'inaugurazione della Leopolda è stata all'insegna dell'amarcord, con Renzi in camicia bianca e microfono in mano a portare per mano una platea già strapiena lungo le tappe di questi anni. «Siamo partiti come una allegra brigata di sognatori, nessuno di noi si poteva immaginare che ci saremmo ritrovati non dico al governo, ma neppure alle quinta edizione della Leopolda», dice dal palco allestito per sembrare un garage (citazione di quello in cui Steve Job inventò il primo Mac). Un garage da cui occorre uscire, spiega, perché «il nostro compito è far ripartire la macchina», ossia l'Italia. La Leopolda del 2011, racconta «mi ha fatto capire che questo paese era scalabile. So che questo termine creerà polemiche ma lo dico: per anni ci hanno raccontato che l'Italia era un Paese chiuso, eppure giorno dopo giorno ci rendevamo conto che si potevano cambiare le cose sul serio, presa, rivoltata e cambiata». E in pochi anni, ricorda, le tappe sono state bruciate: c'è stata prima la sconfitta più amara («Avevamo il cuore a pezzi») delle primarie del 2012, quelle contro Bersani: «Ma nella vita capita a tutti di perdere, e poi arriva l'occasione della rivincita. Per noi - gigioneggia - è arrivata un po' presto, e adesso noi del Pd ci siamo un po' montati la testa: ci pare normale il 40,8%, e già ci siamo dimenticati che solo un anno e mezzo fa solo per un soffio la maggioranza alla Camera non è andata a Berlusconi». Ora però inizia il difficile: «Abbiamo sconfitto tutti i luoghi comuni della politica, tranne uno: che l'Italia non possa essere cambiata». E questo è il nuovo compito del partito della Leopolda.
Oggi, e il premier lo sa, sarà il giorno del match con la piazza della Cgil (e della minoranza Pd). Renzi però si mostra tutt'altro che preoccupato: «Con tutto il rispetto, se mi fossi dovuto impressionare ogni volta che organizzavano qualcosa contro di me avrei dovuto fare un altro mestiere». Massimo «rispetto» per chi manifesterà oggi per le vie di Roma, ma «come ascoltiamo quel milione che sarà a piazza San Giovanni, abbiamo il dovere di ascoltare gli altri 60 milioni che in piazza non ci saranno». E punzecchia la Camusso, spiegandole che si è già fatta soffiare il podio nientemeno che da Nichi Vendola: «Non mi stupisce che si sia incaricato lui di annunciare lo sciopero generale.
È la dimostrazione più evidente che la manifestazione di sabato si sta caricando di grandi significati politici: è evidente che quella piazza non è di protesta sindacale ma vuole essere una piazza politica. La Leopolda invece è un'altra cosa: è un luogo dove si propone, non si protesta». Civati, Cuperlo e compagni sfilino pure sotto il palco della Camusso: qui nel garage della Leopolda si pensa a far ripartire l'Italia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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