Parte la sfida di Salvini «Il leader qui sono io» Bossi: voterei Marchini

Il segretario leghista all'attacco: «Tocca a me guidare l'opposizione a Renzi e al Pd». Ma il Senatùr lo gela

S econdo Matteo, è un leader. Secondo la gente della Montagnola, quartiere popolare a ridosso dell'Eur, qualcosina di meno (e di peggio). Non fa testo la trentina di contestatori che accoglie Matteo Salvini con lancio di arance, pomodorini san marzano e fronde di finocchio. Piuttosto lo si capisce dalla reazione nel video postato su Fb: «Non mi fate paura, mi fate pena!». E ancora: «Manipolo di balordi... Fosse per me, gli insegnerei l'educazione in maniera sonante... Ora andiamo in un altro mercato senza averlo annunciato per evitare che le zecche dei centri sociali ci impediscano di parlare». Per Salvini «i centri sociali hanno la stessa funzione sociale dei campi rom» e dunque «ora li subiamo, ma quando saremo al governo ne riparleremo».

Secondo Matteo, che si autoproclamerà leader poco dopo alla stampa estera, presentando il suo primo libro autobiografico (di quelli che vellicano l'ombelico di Narciso, non un Mein kampf, per intenderci), l'ora fatale è scoccata. «Tocca a me l'onore e l'onere di guidare l'opposizione contro il Pd», scrive nel mirabile opuscoletto. Dove la cronaca spicciola si gonfia per farsi storia: «Fino al 2013 il pallino del centrodestra è rimasto nella mani di Silvio Berlusconi. Ma ora non è più così. Forza Italia è un partito in calo, indebolito da faide interne, dilaniato dal patto del Nazareno». Secondo Matteo, uno che va per le spicce e non le manda a dire, a Silvio non resta altro che farsi più in là. Sta passando lui, il capo del «partito più forte della coalizione»: età, legge Severino e numeri fanno fuori il Cav, insiste. E sfida tutti: «Quello che per gran parte della stampa italiana è un insulto per me è un complimento. Quando mi danno del populista per me è un complimento, quando mi danno del lepenista per me è un complimento». Senza più timori reverenziali, nel pomeriggio affiderà alle battute davanti Regina Coeli la parte migliore del suo pensiero: «È qui la sede del Pd?», scherza. Ma propone, serio, la castrazione chimica per i «vermi pedofili».

Salvini cresce e s'allarga, lo dice papale papale nella sua proclamazione dilatata dall'Ego. Che gli fa suggerire l'intervento in Libia, ora e subito, e preferire Mattarella a Napolitano, perché «non brilla per presenza, però l'altro era peggio: avessi dovuto scrivere nel libro cosa penso di Napolitano mi avrebbero censurato in almeno due pagine, è stata una sciagura». Anche Renzi, «circondato da mediocri perché non vuole essere offuscato», sembra un Matteo minore, davanti a questo Matteo espanso. E se «chi guarda a certi ruderi del passato, come Verdini, Scajola, Fini e Alemanno, non fa parte del mio futuro», l'alleanza «simpatica e bizzarra che sostiene Marchini non è alternativa a Renzi». Il ballottaggio a Roma sarà tra Raggi e Meloni, secondo Matteo. Peccato ci sia ancora chi, nella Lega, voterebbe Marchini e non Meloni.

È di gran lunga meglio, secondo l'Umberto, che di cognome fa Bossi, e non si fa molte illusioni su «quel Matèo lì, quel lì della ruotona...». La ruotona della Fortuna del primo Salvini televisivo. Poi arrivò il Matteo, secondo.

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