L'ultima, sospirata firma - quella che ha fatto scattare il quorum - è arrivata addirittura dall'Australia. È di Francesco Giacobbe, senatore Pd eletto all'estero.
Serviva un quinto dei componenti del Senato, e ieri l'obiettivo è stato raggiunto: il demagogico e sconclusionato «taglia-parlamentari», approvato allegramente da tutti i partiti pochi mesi fa, subisce un primo stop, e la parola finale verrà data agli elettori. In attesa del referendum, la legge (ovviamente promossa dai grillini) non entrerà in vigore.
A darne notizia, ieri mattina, è stato il dem Tommaso Nannicini, uno dei tre senatori (con gli azzurri Andrea Cangini e Nazario Pagano) che si sono fatti promotori della raccolta firme: «Anche grazie alla mobilitazione dei radicali nelle ultime settimane - ricorda - abbiamo superato il numero previsto di 64 senatori per indire il referendum. È una buona notizia, perché l'ultima parola spetterà ai cittadini, e potremo finalmente aprire una discussione pubblica sul tema». Curiosamente, tra le firme ci sono anche quelle di diversi esponenti dei Cinque Stelle: tre attuali (Giarrusso, Di Marzio, Maricotti) e tre ex (Nugnes, Di Falco, Fattori).
In realtà già da giorni c'era la certezza che l'obiettivo sarebbe stato centrato. Anche perché i senatori impegnati in prima fila in una raccolta che inizialmente appariva assai difficile avevano avuto rassicurazioni dalla Lega che ufficialmente non ha firmato: «Se vi mancheranno delle firme, ci pensiamo noi a farvele avere», aveva promesso Roberto Calderoli. E infatti Matteo Salvini si felicita per il risultato: «Ho votato quella riforma, ma sono d'accordo sul referendum: è sempre la scelta migliore».
Perché questo attivismo della Lega? Una delle letture più in voga è che la sospensione della riforma possa accelerare la tentazione del voto: entro la primavera, infatti, si aprirebbe una finestra per elezioni anticipate con le vecchie regole e i vecchi numeri. Ipotesi che non esiste, spiega l'azzurro Gianfranco Rotondi: «Mattarella fa celebrare prima il referendum e poi le elezioni, e nel frattempo un Cottarelli lo trova al volo, con gran parte del Parlamento pronto stavolta a votare la fiducia».
Ma i più accorti segnalano che la speranza di Calderoli e dei suoi è che lo slittamento del taglio (e della relativa delega al governo per riscrivere i collegi elettorali) sia un grimaldello per ottenere dalla Consulta il via libera all'altro referendum che sta a cuore alla Lega, quello per il sistema maggioritario. Intanto il premier Conte assicura che per lui nulla cambia: il referendum è un «percorso istituzionale» che «non influenza e non può influenzare l'agenda di governo. Abbiamo tante cose da fare, e io - giura - giorno dopo giorno lavoro per risolvere i problemi del paese», colpa nostra che non ce ne accorgiamo. Il ministro grillino D'Incà fa buon viso a cattivo gioco: «Siamo convinti che il referendum dimostrerà ancora di più quanto la scelta sia stata positiva, riteniamo che cittadini siano a favore del taglio dei parlamentari».
E del resto sa bene che sarà difficile per gli altri partiti, che nelle aule parlamentari hanno ceduto al ricatto demagogico votando il «taglia-poltrone» in nome di «risparmi» che saranno del tutto irrisori, sostenere che la riforma invece non va confermata e farci una campagna elettorale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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