Il «No» secco dell'Aifa spedito alle Regioni che pensano di comprarsi il vaccino anti-covid svicolando dai rigidi canali fissati dall'Europa gela le più rosee aspettative. «Tutti i vaccini delle aziende autorizzati dall' Ema e dall'Aifa sono coperti dall'accordo quadro Ue. Le aziende che producono non posso vendere a nessun altro», dicono all'Agenzia italiana del farmaco. «Non sono permessi negoziati paralleli», aggiungono dalla Ue.
Allora, non c'è nulla da fare? Dobbiamo sottostare ai capricci delle case farmaceutiche e delle loro consegne a singhiozzo per ricominciare a vivere? Tecnici ed esperti non la pensano così e sono già al lavoro per sbloccare l'empasse. Innanzitutto serve un chiarimento politico e il governo deve creare con i presidenti delle regioni un nuovo patto nazionale. Non si può andare in ordine sparso in una materia così delicata e primaria come la salute: non ci sono cittadini di serie A e di serie B. Le fughe in avanti di alcune regioni sono comprensibili ma non sono ben viste. E per dominare questa dilagante insofferenza, va messo in piedi un sistema nazionale che abbia la forza di ridiscutere gli accordi europei. Il nuovo governo, in sostanza, deve capire se si possono rivedere i contratti sottoscritti e i vincoli apposti da Bruxelles. Poi deve verificare se e quali sono gli spazi per avviare percorsi alternativi di acquisto di vaccini dalle case farmaceutiche magari anche pagando tre volte il costo di una dose fissato dalla Ue. Insomma, il potenziamento dei vaccini nel nostro paese passa attraverso un negoziato nella Ue, che solo l'autorevolezza di Mario Draghi potrebbe sbloccare. Ma il messaggio lanciato dal premier durante il primo consiglio dei ministri fa ben sperare: la prima missione è «mettere in sicurezza il Paese», ha detto alla sua squadra di neo ministri. E la sicurezza passa dalla campagna di immunizzazione di massa. Senza questo punto di arrivo, neppure l'economia può ripartire. Così dall'esecutivo parte l'idea di fare pressing non solo su Bruxelles ma anche sulle aziende farmaceutiche per raddoppiare le dosi destinate al nostro Paese. La prospettiva più a lungo termine, invece, sarà quella di incentivare la produzione dei vaccini in Italia. L'Irbm di Pomezia sta effettuando i test per la produzione del vaccino Oxford-Astrazeneca. Serviranno almeno due mesi ma il presidente dell'azienda, Piero Di Lorenzo, assicura che si potranno produrre 10 milioni di dosi e saranno destinate al nostro Paese. L'altra idea ambiziosa che circola è quella di acquistare il brevetto di una big farma e produrre il vaccino in un centro dotato di impiantistica di ultima generazione. Serviranno buona volontà, grande intraprendenza e parecchi mesi, ma questa previsione, anche se a medio termine, darà i suoi frutti visto che questo virus richiederà milioni di richiami ogni anno.
I tempi lunghi stridono con la situazione di emergenza. Così, in attesa delle mosse strategiche del nuovo esecutivo, dobbiamo farci bastare le dosi che ci arrivano tramite Ue. E, dopo due mesi di stop and go delle case farmaceutiche, sembra che la situazione sia in miglioramento visto che da qualche giorno le consegne sono regolari rispetto, però, ai tagli già effettuati. Da Astrazeneca, per esempio, confermano l'invio di 300mila dosi nei prossimi giorni, di 700mila dosi il 25 febbraio e di 4 milioni di dosi a marzo. La stessa azienda che ieri ha presentato un esposto ai Nas per denunciare ogni tentativo di assicurare forniture al di fuori dei canali ufficiali. Un messaggio chiaro ai faccendieri che bussano alle porte degli enti locali per far fiutar loro «l'affare» ma che nasconde truffe.
Come quella sventata dai carabinieri a Perugia che hanno incastrato un finto intermediario di «Astrazeneca internazionale». L'uomo aveva tentato di proporre la vendita di una fornitura alla Regione Umbria e ora è indagato per tentata truffa e sostituzione di persona.
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