Le forze ucraine potrebbero presto disporre di batterie di missili Patriot, uno dei sistemi di difesa missilistica più sofisticati in dotazione all'esercito Usa e alla Nato. Si tratterebbe di una risposta alle continue richieste del presidente ucraino Zelensky di strumenti più potenti per fare fronte ai bombardamenti russi, e soprattutto di una conferma del crescente impegno militare di Washington a fianco di Kiev. L'indiscrezione, riportata dalla Cnn e dal New York Times, che parlano di un annuncio «già in settimana», non viene confermata - ma nemmeno smentita - dall'Amministrazione Biden. «Non posso confermare», dice il coordinatore per la Comunicazione strategica del Consiglio per la Sicurezza nazionale, John Kirby, in un colloquio con un gruppo ristretto di giornalisti americani e internazionali, al quale ha partecipato anche il Giornale. «Siamo sempre stati molto trasparenti sulle forniture militari» a Kiev e «stiamo lavorando al prossimo pacchetto di aiuti e quando sarà pronto lo annunceremo», spiega Kirby, che da mesi è ormai il volto e la voce della Casa Bianca per quanto riguarda la guerra in Ucraina. Quanto al parere favorevole espresso dai britannici all'invio a Kiev di sistemi missilistici a lungo raggio, compresi i Patriot, Kirby chiosa: «Siamo in strette consultazioni con i nostri alleati». Certo è, aggiunge, che «abbiamo sempre dato la priorità alla difesa aerea, anche oggi, che è diventata una necessità ancora più urgente».
Kirby non si fa poi illusioni su una rapida conclusione del conflitto, né su un suo rallentamento dovuto ai mesi invernali. «È difficile prevedere che la guerra finirà entro la fine dell'anno, non c'è nessuna indicazione che si vada in quella direzione, i combattimenti proseguiranno per un po' di tempo». Una conferma parziale sull'invio dei Patriot è giunta in queste ore dal ministro della Difesa ucraino, Oleksiy Reznikov, che alla Cnn ha riferito che «è in corso una lunga discussione con i nostri partner». Ovviamente, le indiscrezioni non sono passate inosservate in Russia. Se verranno consegnati a Kiev, i sistemi Patriot diventeranno «un obiettivo legittimo» dell'esercito russo, ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. La realtà, secondo quanto trapela in queste ore a Washington, è che sarebbe in corso tra Pentagono e Casa Bianca, se non un braccio di ferro, almeno un'animata dialettica. La proposta di dotare Kiev delle batterie di Patriot, che a differenza di altri sistemi d'arma finora forniti all'Ucraina, come i Nasams arrivati a novembre, sono in grado di abbattere i missili balistici russi, viene dai vertici militari. Il via libera del segretario alla Difesa Lloyd Austin è dato per certo. Poi, servirà la firma di Joe Biden. Due i fattori che peserebbero nella valutazione definitiva sottoposta al presidente: il numero relativamente limitato di sistemi Patriot attualmente presenti nell'arsenale Usa e la necessità di un addestramento sofisticato per il loro impiego; inoltre, il rischio che le batterie missilistiche, che in una delle tre configurazioni possibili, la Gem-T (Guidance Enhanced Missile-Tactical) hanno una gittata fino a 160 chilometri, possano colpire in territorio russo.
Eppure, la cautela di Biden riguardo ai rischi di un'escalation del conflitto, potrebbe essere superata da altri due elementi emersi nelle ultime settimane. Da un lato, l'allarme lanciato dall'intelligence Usa sul crescente ricorso da parte russa a forniture militari iraniane. Lo stesso Kirby, nei giorni scorsi ha parlato di una vera e propria «alleanza militare» ormai in corso tra Teheran e Mosca, che prevede non solo la fornitura di droni, ma anche di missili balistici, dei quali la Russia è sempre più a corto, come dimostra il continuo impiego di vecchi vettori per testate nucleari, armati con testate tradizionali. L'invio dei Patriot in Ucraina potrebbe essere una risposta all'asse russo-iraniano che si è cementato negli ultimi mesi. C'è poi la relativa «tranquillità» con la quale Washington da qualche settimana interpreta le minacce nucleari lanciate da Vladimir Putin, dopo gli incontri riservati avuti dal consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan e dal direttore della Cia William Burns con le loro controparti russe.
Ne ha parlato martedì, nel corso di una conferenza, il generale Keith Alexander, ex direttore della National Security Agency e del Cyber Command Usa, che non ha perso i
suoi contatti con l'Amministrazione. «Se usasse l'arma nucleare Putin sarebbe morto, spingerebbe la Nato a ripensare la sua posizione. Credo che Putin lo sappia e credo che l'Amministrazione Biden lo abbia fatto presente».
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