Le paure del Pd in fuga da Roma: nessun comizio nelle piazze rosse

Renzi da solo nel suo collegio, disdetto evento nella Capitale

Le paure del Pd in fuga da Roma: nessun comizio nelle piazze rosse

Laura Cesaretti

Roma Uno strano finale di campagna elettorale, sottotono e condito non più da ottimismo ma da un diffuso senso di allarme: «È chiaro a tutti quello che rischiamo? Cosa rischia l'Italia? Una maggioranza con Grillo, Salvini e Meloni. Un patto tra la Lega e M5s. Lo dico realisticamente. Senza il Pd primo partito, il Paese rischia un governo estremista», avverte Matteo Renzi.

I sondaggi sono secretati per il pubblico, ma sono sul tavolo di tutti i partiti, e non promettono nulla di buono per le forze non populiste. Il messaggio del Pd, che elenca riforme e risultati di cinque anni di governo, non sembra sfondare il muro del «voto di pancia». «Se pensate di affidare il vostro futuro agli apprendisti stregoni, Grillo e la Lega sono la risposta. Ma se volete solidità, serietà e un paese che continua a crescere, la scelta è il Pd», martella il segretario del Pd. Che nell'ultimo miglio prima del voto vuol togliere di mezzo lo spauracchio di governi delle larghe intese («Se perdiamo, siamo pronti ad andare all'opposizione») ma avvisa anche il centrodestra: «Un sorpasso della Lega su Forza Italia? Non lo considero scontato, ma probabile sì. Se Berlusconi non fa una mossa a sorpresa, può succedere». E quando dice «pronti all'opposizione» e «Non governeremo mai con gli estremisti», Renzi si rivolge anche e forse soprattutto a quei settori del suo partito (se ne è fatto portavoce il chiassoso presidente della Puglia Emiliano, ma dietro di lui ci sono altri pezzi di Pd ansiosi di archiviare la stagione renziana) che già ragionano su un governo sostenuto dai Cinque Stelle, dalla Leu di Grasso e D'Alema e da un Pd senza più Renzi, che sarebbe costretto a farsi da parte grazie anche al veto dei potenziali alleati. Un'ipotesi di larghe intese alternativa a quelle con l'odiato Cavaliere. E c'è chi assicura che il «padre nobile» Romano Prodi non escluda l'opzione: «Del resto - ricorda un parlamentare Pd - nel 2013 Prodi pensava di poter prendere i voti grillini per il Quirinale: che si prepari al 2022, quando bisognerà sostituire Mattarella?». Non è un caso se Renzi ribadisce che, qualunque sia l'esito del voto, «resterò segretario fino al 2021, perché sono le primarie a decidere il segretario del Pd». E non è un caso neppure se ricorda che Macron «governa con il 23%»: un modo per sottolineare che nessun partito centrista o di centrosinistra se la passa granché meglio del Pd, in Europa.

A rendere strano il clima di fine campagna del Pd, però, non sono solo i retroscena politici. È anche l'agenda dell'ultimo venerdì pre-voto: nessuna manifestazione di chiusura nazionale, nessun evento di partito con la «squadra» Pd sul podio (cosa che pure era stata da più parti suggerita), nessuna foto di gruppo finale. Renzi ha chiuso da solo a Firenze, suo collegio. Gli altri big ognuno nel proprio collegio. Ma la cosa più curiosa è che a Roma, che non solo è capitale politica del Paese e sede del governo, ma è anche il luogo dove è candidato Paolo Gentiloni, in testa a tutti i sondaggi di popolarità e appena promosso dall'Economist come miglior premier possibile per l'Italia, ieri il Pd non ha organizzato nessuna manifestazione finale, e non ha messo il premier su un palco tra le bandiere di partito. Si era pensato a un evento di piazza, era stata chiesta anche una pre-autorizzazione per una piazza del centro.

Poi la richiesta è stata annullata ed è stata organizzata una mobilitazione, con gazebo e sezioni aperte, dedicata al voto degli indecisi. E così, Gentiloni è andato, da capo del governo, ad inaugurare un polo ospedaliero romano e poi in un centro anziani dell'Esquilino: «Speriamo di avere l'occasione, per me e per il Pd, di andare avanti».

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