Non tutti i mali vengono per nuocere. Si rianima di botto la barchetta del Pd schiantatasi sugli scogli elettorali il 4 marzo, con il capitano che per due mesi ha smaccatamente impedito all'equipaggio di chiedere aiuto. Il perdurare dello stallo tra gli acerbi vincitori, e la chiamata alle armi di Mattarella, sembrano in grado di restituire al Pd energia, vivacità e persino Speranza - e la maiuscola non è un refuso.
Riunitisi per la seconda volta in ventiquattr'ore, i maggiorenti del Nazareno cominciano a intravvedere una luce in fondo al tunnel e, sempre che Renzi non tagli loro le gambe («Io ho aperto a Bersani? Non mi pare proprio, forse ero sovrapensiero...», ha detto ieri sera Matteo a diMartedì), il cammino porterebbe il centrosinistra a ricompattarsi con i fuoriusciti di Leu, Grasso e Speranza in testa. Pronubo dell'operazione, se riuscirà, dovrebbe essere l'unico ufficiale rimasto dopo la Waterloo: Paolo Gentiloni. Il premier in televisione da Fazio aveva tratteggiato un partito che si rimettesse nei cardini della sinistra tradizionale e parlato apertamente di alleanza con la sinistra «più combattiva e decisa». Il particolare, sfuggito ai più, potrebbe diventare un lievito di crescita potente, almeno sulla carta. La prudenza non è mai troppa, però, specie per Gentiloni. Capace di smentire una frettolosa nota del Nazareno che lo indicava candidato premier Pd in caso di elezioni a breve. Tentativo di tirarlo per la giacchetta, magari per bruciarlo. Ma Paolo «il tiepido» cercherà di costruirsi piano piano una coalizione competitiva. Altrimenti, d'essere sbattuto in lista come foglia di fico non se ne parla.
Così una delle questioni-cardine, e prioritarie, è quella delle liste. Qui si giocherà una partita all'ultimo sangue, perché Renzi e i suoi danno per scontato che saranno riconfermate quelle di marzo, mentre le minoranze chiedono più posti, Martina vorrà giocarsi la sua partita e, appunto, bisognerà capire quando e come Gentiloni ci vorrà metter becco. Per ora, dunque, le carte sono copertissime. Tutti, a cominciare dal reggente Martina, sono posizionati saldamente dietro lo scudo di Mattarella: «Gli daremo una mano, Di Maio e Salvini sono stati irrispettosi come non s'era mai visto...», ha detto il reggente. Martina vuole costruire un'alternativa a M5s ma, senza l'apporto di Gentiloni, la sua sembra una partita persa. Il patto che si profila, anche nel caminetto d'urgenza tenuto ieri mattina, che ha deciso di convocare l'Assemblea il 19 maggio, è di separare la figura del segretario dal candidato premier. Sulla conferma di Martina paiono convergere tutti i (cosiddetti) «big», anche Orlando. Il capogruppo Delrio resta contrario a scendere in campo (per i renziani l'alternativa sarebbe l'infaticabile Guerini). Ma tutti, come pure Martina, hanno preso a guardare alla costruzione di una nuova alleanza a sinistra come unica possibilità per fronteggiare M5s. Tutti tranne uno, indovinate chi, che però ha in mano il partito. «Secondo me il candidato naturale è Gentiloni», ha detto ieri sera Renzi.
«Non correrò alle primarie e il prossimo leader Pd lo sceglieranno le primarie», ha aggiunto definendo «allucinante una campagna elettorale a Ferragosto, mi sembra una cosa folle». Poi ha rincarato: «Si sono visti Di Maio e Salvini per decidere quando si vota, a quello che ricordo io lo decide il presidente della Repubblica». Sarà una lunga e velenosa partita a scacchi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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