Il Pd a Cinque stelle elemosina un governo per far fuori Renzi

Si allarga il fronte di chi spinge per l'accordo con Di Maio: da Cuperlo a Veltroni e Martina

Il Pd a Cinque stelle elemosina un governo per far fuori Renzi

Roma - Pronti, via: ancora non sono state neppure costituite le nuove Camere, e già nel Pd è partita la corsa ad offrirsi all'aspirante premier Di Maio. In nome della «responsabilità», della «sinistra», del «disagio» (non si sa se anche psichico), del «popolo», e chi più ne ha più ne metta.

Il dimenamento contro l'indicazione renziana (votata all'unanimità in Direzione: «Opposizione» e basta) era già iniziato da giorni, ed è trapelato sabato nel convegno al Nazareno convocato da Gianni Cuperlo, dove erano accorse tutte le anime Dem in agitazione, con gli ex Ds in grande spolvero, liberati dal giogo renziano. «Niente Aventino» avevano proclamato, dal reggente Martina in giù. A fare un passo avanti, ieri, ci ha pensato Walter Veltroni, ex Ds pure lui e fondatore del Pd. Spiega che la sinistra «ha perso il rapporto col popolo» e che ora deve stare «dove c'è il disagio». E ne fa discendere l'inevitabile corollario: ergo, deve stare con i Cinque Stelle. «Se a fine crisi, sotto la regia del capo dello Stato, emergesse un'ipotesi a certe condizioni programmatiche eccetera», insomma, «il Pd farebbe bene a discuterne». Di un governo di Gigino Di Maio, con il Pd a fargli da portatore d'acqua.

Ora, l'ABC della politica dovrebbe insegnare che offrirsi prima ancora che qualcuno ti abbia invitato, o che addirittura sia titolato ad invitarti (Di Maio è lontanissimo da un incarico di governo, tant'è che sta meditando di prendersi la presidenza della Camera per non restare a piedi), è da dilettanti allo sbaraglio. Un errore talmente marchiano che è difficile che politici di lungo corso come Veltroni e gli altri lo commettano così platealmente. Certo, c'è il pressing di quella pattuglia di auto-nominati «intellettuali di sinistra» tipo Cacciari, Zagrebelsky, Settis e compagnia, gli stessi magistralmente irrisi da Paolo Mieli sul Corriere per essersi con generosità lanciati sul carro del vincitore. I quali, dopo aver contribuito a produrre una diffusa allergia alla sinistra, ora ingiungono al Pd di andare coi grillini che incarnerebbero la nuova sinistra. Ma c'è, soprattutto, l'intenzione di mandare un messaggio a Renzi: «Non comandi più, facciamo noi». E uno a Mattarella: «Siamo pronti a far partire qualsiasi governo tu metta in piedi». Renzi tace, ma i suoi insorgono: «Chi pensasse di mascherare dietro un presunto esecutivo istituzionale l'appoggio del Pd a un governo M5s commetterebbe un inaccettabile tradimento degli elettori», dice Anzaldi. «Così il Pd si estinguerebbe», incalza Marcucci. Sui social la base Dem rumoreggia contro il cedimento a M5s. Un esponente renziano ammette: «Sono tutti d'accordo: far fuori Matteo e sostenere il progetto di Mattarella che vuole sbrigarsi a fare un governo. Hanno convinto anche Martina.

In questo modo, pensano, almeno per quattro anni non si vota e si sopravvive, e pazienza se il Pd poi va al 6 per cento. Ma così diventa probabile un'altra scissione, e la nascita di un partito alla Macron». Sulla linea governo purchessia o opposizione a oltranza, insomma, si prepara lo scontro e - forse - la rottura definitiva del Pd.

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