Elezioni politiche 2022

Il Pd ko lascia campo libero a M5s

Nazareno frastornato tra slogan e frasi vuote. Così Conte domina l'opposizione

Il Pd ko lascia campo libero a M5s

La Direzione Pd chiamata a fare l'analisi del voto sarà tra una settimana, a dieci giorni dalle elezioni. Meglio prendere un po' di tempo, lasciar sbollire gli spiriti e assorbire lo choc, si è pensato al Nazareno. Sottovalutando forse il fatto che i vuoti si riempiono, e così agenzie e tv sono piene da giorni di esponenti dem che dicono tutto e il contrario di tutto, che sparano sul quartier generale o lanciano candidature (spesso di sè medesimi), che chiedono «rifondazioni» e «rigenerazioni» e svolte a sinistra (ormai identificata con il modello Peron del contismo) eccetera. La Direzione discuterà e poi convocherà l'Assemblea Nazionale, che si terrà - spiegano - «dopo l'insediamento del nuovo governo». In quella sede verrà avviato il «percorso congressuale», che dura circa tre mesi, e che si concluderà con le primarie che i più ottimisti prevedono per gennaio-febbraio. Anche se in verità una parte del gruppo dirigente dem spera di rallentare ulteriormente il percorso, in testa la sinistra che al momento non ha un candidato valido da contrapporre al governatore emiliano Stefano Bonaccini, su cui potrebbero convergere le altre correnti.

A chiedere esplicitamente una frenata è il sindaco di Bologna Lepore, con arzigogolate spiegazioni: serve tempo per «ritrovare il nostro blocco sociale» e «ripensare il Pd in veste di opposizione»: «Abbiamo bisogno di almeno 5-6 mesi per scrivere la nuova ragione sociale del Pd». Il problema vero, spiegano da altre sponde, è che la sinistra vuol avere tempo sì, ma per far entrare gli scissionisti di Speranza e D'Alema nel partito, con diritto di voto al congresso, in modo da rimpolpare le proprie file: non a caso il vicesegretario Provenzano è stato ieri avvistato in fitto conciliabolo con Bersani davanti a una birra, in un bar del centro.

La questione è: nel frattempo, mentre i dem si rifondano e si rigenerano, cercano blocchi sociali e si scontrano sulle candidature alla segreteria; e mentre dall'altra parte la premier in pectore Giorgia Meloni pare intenzionata a fa decollare di gran carriera l'esecutivo per varare la manovra e avviare il suo programma, chi farà l'opposizione? Il rischio, che nel Pd qualcuno teme e su cui qualcun altro punta, è di lasciare tutto il palcoscenico a Giuseppe Conte, che peraltro potrebbe subito puntare su una sponda collaudata e per molti versi affine (vedi le posizioni pro-Russia e sulla spesa pubblica) dentro la maggioranza, per mettere i bastoni tra le ruote a Giorgia: quella di Salvini. Dal campo largo al campo libero al peronismo grillino, insomma. Sul fronte candidature sembra appannarsi la stella di Elly Schlein: la auto-candidatura della ex ministra Paola De Micheli è soprattutto un segnale contro la «operazione donna», col messaggio «se c'è lei ci sono anche io». Ieri Romano Prodi (indicato come uno degli sponsor di Schlein) ha negato: «Sbagliato partire dai nomi».

A proposito di nomi, nel Pd si guarda con attenzione all'ipotesi che la presidenza della Camera venga offerta all'opposizione. «Meloni, intelligentemente, vorrebbe, ma il resto della maggioranza la frena», dice un dirigente.

Se la leader di Fdi lo facesse sul serio, getterebbe abilmente lo scompiglio nel Pd (dove già si discute della candidatura di Debora Serracchiani, in quanto donna e capogruppo uscente, o di Andrea Orlando in quanto ex ministro) e pure nelle altre forze di minoranza: «Il Pd ha perso, quello scranno spetta a noi», dicono da M5s.

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