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Il Pd lavora a Unicredit-Mps. M5s scombina tutti i progetti

L'uscita di Mustier spiana la strada alla fusione voluta dai dem. I Cinque stelle premono per un polo pubblico

Il Pd lavora a Unicredit-Mps. M5s scombina tutti i progetti

L'uscita di scena dell'amministratore delegato Jean-Pierre Mustier dal prestigioso teatro di Unicredit mostra che la politica ha ancora molta, se non troppa, voce in capitolo nella finanza italiana. Da mesi Via XX Settembre fa pressing perché Piazza Gae Aulenti vada a nozze con Mps. È, inoltre, indubbio che l'uscita del manager francese non sia dispiaciuta né al ministro Roberto Gualtieri né al direttore generale Alessandro Rivera. Essi hanno usato tutti poteri di moral suasion a loro disposizione per convincere Unicredit a rilevare l'istituto senese che per il 68% fa capo al ministero dell'Economia. E il Pd è sceso direttamente in campo con il suo ministro, sostenendone le scelte e addirittura «offrendo» alla causa l'ex ministro ed ex deputato (nel collegio di Siena), Pier Carlo Padoan, presidente designato della banca milanese e «regista» del primo salvataggio del Monte.

Il giorno dopo, ovviamente, nessuno ha detto alcunché. Il silenzio è stato rotto dal deputato renziano Luigi Marattin, presidente della commissione Finanze. «La mia opinione è che debbano crearsi presto le condizioni affinché Mps sia restituita al mercato, nel quadro della nuova stagione di aggregazioni», ha dichiarato. Mustier, di fatto, era l'unico ostacolo che si frapponeva alla realizzazione dell'impegno preso con la Bce di riprivatizzare Siena entro il 2021 visto che il partner giusto era stato individuato a Milano. Con 3,8 miliardi di imposte differite recuperabili grazie alla legge di Bilancio (2,5 miliardi computabili a patrimonio) e un aumento di capitale da almeno 2 miliardi in rampa di lancio, secondo Gualtieri e il Pd, non ci sarebbe stato motivo per rifiutare l'invito. E Padoan, nella ricerca del nuovo ad, anche di questo si dovrebbe occupare.

Ma la maggioranza, come al solito, è tutt'altro che coesa e i Cinque Stelle si sono incaricati di scompaginare i piani degli alleati. In primo luogo, con due emendamenti alla manovra che «bombardano» Siena. Il primo riduce a un quarto i benefici fiscali rendendo indigeribile la preda: con soli 500 milioni di agevolazione l'acquirente dovrebbe provvedere a un massiccio aumento di capitale. Il secondo concede i medesimi benefici anche alle operazioni di aumento di capitale per consentire al Tesoro di ricapitalizzare a minor costo la banca e mantenerla ancora pubblica, creando un polo con le «statali» PopBari e Carige. Idea ventilata tanto dal sottosegretario all'Economia Alessio Villarosa che dalla presidente della commissione Banche Carla Ruocco e «sponsorizzata» dai sindacati, a partire dalla Fabi di Lando Maria Sileoni e dal Pd di «rito toscano», angosciato dall'idea che i 6-7mila esuberi vagheggiati si traducano in una valanga di voti perduti.

Ora dipingere Jean-Pierre Mustier come «vittima» sarebbe esagerato, ma la politica ha avuto un ruolo fondamentale nella sua decisione, visto che era rimasto invischiato nella trappola del Monte Paschi dopo che Intesa Sanpaolo, fondendosi con Ubi, era riuscita a chiamarsene fuori.

«La risposta l'ha data il mercato: Unicredit ha perso 2,5 miliardi di patrimonializzazione in due giorni È un'operazione che non piace al mercato per le interferenze politiche», ha sentenziato il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi.

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