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Il Pd ora vuole dire no alla missione Libia ma sono stati i suoi governi a vararla

Il dem si preparano a votare contro il sostegno alla Guardia costiera di Tripoli, però fu Gentiloni a deciderlo. L'ira dell'ex ministro Minniti

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Il Pd di Elly Schlein celebra la «svolta» sulla Libia, e dopo il «no» nelle commissioni Esteri e Difesa, si prepara a votare contro la missione a sostegno della guardia costiera libica, varata dal governo del dem Paolo Gentiloni, anche in aula.

Un voto che «segna una svolta politica per tutti quelli che hanno a cuore i valori di libertà e umanità», spiega il membro della segreteria Marco Furfaro, mentre il responsabile Esteri Peppe Provenzano rivendica il «voto compatto del Pd contro il supporto alla Guardia Costiera libica, le sue collusioni coi trafficanti e con le milizie e le gravi violazioni dei diritti umani». Gli replica con durezza Enrico Borghi, fino a poche settimane fa nel Pd (e membro della segreteria di Enrico Letta) e oggi approdato in Italia viva: «Ricordo a Provenzano che non c'è mai stato alcun passaggio di denaro tra Italia e guardia nazionale libica: non finanziamo le loro attività, ma quelle della Guardia di Finanza italiana. Dubito voglia accusare i nostri militari di aver collusioni con trafficanti e di violare i diritti umani, no?». Senza contare, spiega ancora Borghi, che il testo del governo Meloni sul finanziamento delle «attività di addestramento e manutenzione» dei libici «è identico a quelli proposti da Gentiloni, Minniti, Guerini, Conte, Trenta (ex ministro della Difesa del Conte 1, ndr)», e votati dal Pd anche col Conte 2 e con Draghi. «E non ricordo levate di scudi dell'allora ministro Francesco Boccia, oggi schleiniano di ferro», ricorda perfidamente Borghi. Che sottolinea: «Il Pd non propone alcuna alternativa: sappiamo tutti che se i formatori della nostra GdF venissero via, a sostituirli sarebbero i turchi in Tripolitania e i russi in Cirenaica. Provenzano e Schlein pensano che sarebbe un passo avanti?».

Molto aspra anche la reazione di Marco Minniti: «Ho un dubbio: come mai il Pd non ha cambiato quell'accordo quando era in maggioranza, nei precedenti governi?», si chiede l'ex ministro Pd degli Interni nel governo Gentiloni, che seguì in prima persona quel drammatico dossier. «Si assumono posizioni radicali solo quando si è certi che non influiscano sulla realtà, ma un partito che ambisca ad essere forza di governo non si può accontentare di piantare bandierine dall'opposizione: è un problema di credibilità politica». Rincara Carlo Calenda: «La posizione Pd è sbagliata nel merito e assurda politicamente, perché sconfessa i loro governi». Più cauto, dall'ala riformista dem, Alessandro Alfieri: certo le violazioni dei diritti umani ci sono eccome, ma «l'Onu ci chiede di essere presenti per stabilizzare la Libia», e il Pd «deve stare attento a non dare l'idea di mettere in discussione il lavoro faticoso fatto dai governi a nostra guida, a partire da quello di Gentiloni». Che ovviamente tace, ma chissà che pensa della celebrata «svolta» dem.

Di certo anche in questo caso, come sul Mes, Pd e Cinque Stelle vanno in ordine sparso e in direzioni diverse. I grillini non hanno votato la proposta dem di abolire la missione in Libia, ma hanno chiesto al governo di smettere di aiutare l'Ucraina a difendersi dall'invasione russa.

Cercare di fermare il massacratore Putin, secondo loro, rappresenta «una pericolosa escalation».

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