Il Pd in stato di choc prova a trascinare i 5s verso il nuovo premier

Dem spiazzati dal Quirinale. Zingaretti molla Conte ma tenta di salvare l'alleanza giallorossa

Il Pd in stato di choc prova a trascinare i 5s verso il nuovo premier

È un Pd in stato di choc quello che ieri mattina si è svegliato con i Conte bis e ter morti e sepolti e un governo Draghi già scodellato dal Colle, e con la loro vagheggiata «alleanza strategica» con i Cinque stelle a un passo dall'esplosione.

Un risveglio angoscioso, per il Nazareno: da un lato l'impossibilità di dire no al solenne richiamo alla responsabilità di Sergio Mattarella, dall'altro l'amarezza di dover incassare una nuova sconfitta da parte dell'odiato Renzi e del movimentismo corsaro con cui è riuscito a far saltare la linea «o Conte o morte» su cui il Pd si era, un po' avventatamente, assestato. Le prime reazioni dem danno idea della confusione che regna al Nazareno: Goffredo Bettini, grande stratega del contismo dem, torna a minacciare elezioni («Quando c'è uno stato di emergenza la parola va data alla politica e alla democrazia») e a premere per un rinvio dell'agonizzante Conte bis alle Camere («Il governo precedente non è mai stato sfiduciato, ha mostrato di avere una fiducia assoluta alla Camera e ampissimo consenso al Senato»). Ma si becca subito una dura replica da Fausto Raciti: «Evocare elezioni anticipate in nome di un'alleanza significa anteporre presunti interessi di parte a quelli dell'Italia. Mi auguro che il Pd non persegua questa impostazione e si dimostri all'altezza della sfida». Intanto il vicesegretario Orlando si scaglia contro Renzi: «La nascita di un nuovo governo Conte è stata fatta saltare da lui», e spiega che il Pd «dovrà ragionare su cosa fa in relazione a quello che faranno le altre forze politiche». Non si può dire sì a Draghi, insomma, se non ci stanno anche i Cinque stelle.

Una parte significativa del partito, però, respinge questa subalternità ai grillini e allo stesso Conte. Personalità del governo come Dario Franceschini e Lorenzo Guerini hanno contrastato, sia pur silenziosamente, la linea «Conte o voto» che ha ficcato i Dem in un vicolo cieco, e dopo lo spariglio di Mattarella su Draghi si è subito messa in moto per far uscire il Pd dall'angolo e farlo diventare parte attiva della nuova fase. Innanzitutto, occorre convincere lo sconfitto Conte a non farsi esplodere a mo' di kamikaze per far saltare il tentativo di Draghi. «L'errore imperdonabile è stato legarci mani e piedi ad una prospettiva asfittica come un ter appeso a qualche scappato di casa. E se ora Conte si mette alla testa dell'ala Dibba dei grillini, nella speranza di ottenere il voto facendo mancare i numeri in Parlamento, l'Italia finisce nel baratro», ragionava ieri mattina un allarmato dirigente dem. È stato Franceschini a dare il primo colpo di timone, richiamando il premier al senso di responsabilità: «Sono convinto che proprio Conte sarà coerentemente il primo e più convinto sostenitore di Draghi, e che sarà possibile dare una risposta positiva a Mattarella senza far saltare la prospettiva di un'alleanza con M5s».

Nel pomeriggio, il segretario Zingaretti cerca di riassestare la linea: ringrazia il defunto premier Conte, esalta i «grandi risultati» del governo giallorosso ma fa capire che ora va girata pagina, pur senza «buttare a mare il patrimonio» dell'alleanza coi grillini. Che ora vanno convinti a sostenere il nuovo governo, guidato da «una grande risorsa», che oltretutto «ha iniziato a interloquire nella maniera corretta» con le forze politiche.

Per questo Zingaretti convoca una riunione serale della maggioranza uscente (escluso ovviamente il Nemico Pubblico numero 1, Matteo Renzi), nella quale i dem spiegano ai grillini che bisogna sostenere Draghi tutti insieme. E, visto che l'alternativa è restare disoccupati, il grosso dei 5Stelle ovviamente ci starà.

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