Sarà il nuovo MaoDonald's o si chiamerà sempre McDonald's?
Già perché in Cina sarà ora il colosso Citic a gestire gli oltre 2.200 negozi in franchising di McDonald's. Ovvero Pechino ha deciso di statalizzare gli hamburger americani.
Un'operazione economica da due miliardi di dollari in attesa ancora di essere ufficializzata. Ma al di là del valore commerciale dell'intesa è un intervento che ha un sapore tutto politico. Diverse possono essere le chiavi di interpretazione.
La prima che ci viene in mente, ma non certo l'unica, è quella di una risposta all'America. Una sorta di controffensiva cinese alla dichiarazione di guerra lanciata dal nuovo presidente degli Stati Uniti alla Cina.
La volontà di Donald Trump di aumentare le tariffe verso Pechino, la sua minaccia di far rientrare in America la produzione di alcuni beni che sono fatti in Cina non sono ovviamente passati inosservati. Non sono forse gli hamburger di McDonald's il simbolo della globalizzazione americana? La scelta dunque di statalizzarli suona più come un messaggio politico e neanche tanto velato: una sorta di avvertimento. Come a dire: la Cina è in grado di fare le cose per conto suo. Ma ci sono, abbiamo detto, altre possibilità di lettura dietro l'operazione.
A suggerircele è Giulio Sapelli, professore ordinario di Storia economica dell'Università di Milano, «Dietro dice c'è anche il tentativo che la Cina sta facendo in questi anni di convertirsi a un'economia dei consumi e non solo o non più su un sistema unicamente basato sull'import. Non a caso si decide di statalizzare una rete che produce beni di consumo. La volontà dunque di operare una profonda politica di urbanizzazione che non c'è - per le resistenze dei contadini cinesi a mollare le terre - e a finire con la filosofia dell'autoconsumo».
L'operazione, ci spiega il professore super esperto di cultura d'impresa, avrà conseguenze anche sul sistema agricolo perché porrà il problema di come rifornirsi di carne.
Questo può significare che «lo Stato amplierà il suo controllo verticale e verticistico sulla produzione bovina». A meno che questi hamburger non verranno fatti con la carne di maiale di cui i cinesi sono grandi consumatori.
Ma ci saranno conseguenze contraddittorie anche sul tema della proprietà della terra. Che è per buona parte di proprietà statale ma è anche in mano a comunità locali. C'è anche un altro aspetto da considerare nell'operazione. Ovvero il cambiamento di prospettiva che pare stia avvenendo in tutto il mondo, dall'America al caso Italia con le banche.
Una voglia di Stato che Sapelli definisce più come nazionalismo economico in senso culturale a fronte di una crisi forte dell'occupazione, una via che la politica segue nel tentativo di non perdere il consenso. Infine, sembra fare da controcanto alla notizia degli hamburger quella della liberalizzazione del sale. Che è il monopolio più antico del mondo e che ora è stato abolito.
A partire dal nuovo anno i produttori saranno messi nelle condizioni di decidere il prezzo e i canali di distribuzione.
Una notizia si diceva che pare in aperta contraddizione dell'altra. Ma in realtà sono due facce della stessa medaglia.
Quella del sale è più un gioco degli specchi, sembra una delle tante favole sulla liberalizzazione in Cina, dove dalle grandi banche a scendere, è tutto saldamente in mano al partito
comunista cinese. Secondo un esperto legale intervistato dal Financial Times il centinaio di aziende produttrici sono già a maggioranza di proprietà statale.Il che fa concludere che il sale continua a essere un monopolio statale.
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