Pechino taglia i tassi per frenare la crisi. Ma ora in Giappone il Pil crolla del 6%

La Cina inietta oltre 40 miliardi di dollari. Trimestre nero a Tokyo

Pechino taglia i tassi per frenare la crisi. Ma ora in Giappone il Pil crolla del 6%

Sterilizzare e iniettare. Basta poco oggi in Cina per traslare il gergo medico in campo economico. Del resto, la paralisi della vita sociale è la stessa che affligge il mondo della produzione e degli affari, e identico è il cordone sanitario steso per prevenire e curare. Così, se da un lato le banconote vengono messe in quarantena perché possibile fonte di trasmissione del contagio, dall'altro le autorità si prodigano per inondare il sistema di liquidità. È un'azione su più binari, tesa a lubrificare i meccanismi inceppati dell'economia.

Si abbassano le leve dei tassi sui finanziamenti a medio termine, tagliati ieri dal 3,35 al 3,15%, in modo da dar respiro alle imprese, e al tempo stesso vengono fatti circolare 1.600 documenti che sono una sorta di scudo attraverso il quale il mondo imprenditoriale può ripararsi in caso di inadempienze contrattuali. Nessuna negligenza colpevole, solo cause di forza maggiore. In pratica, se per esempio la spedizione di una merce è in ritardo, il certificato - riconosciuto da oltre 200 Paesi - evita di dover pagare e penali salate. Il «salvacondotto» va a intervenire su circa 16 miliardi di dollari di consegne ferme o ritardate. Non una misura da poco, quindi, da sommare all'ennesima iniezione di liquidità decisa dalla banca centrale del Dragone per un ammontare di 100 miliardi di yuan (oltre 14 miliardi di dollari) attraverso pronti contro termine a sette giorni a un tasso del 2,4%, più altri 200 miliardi di yuan (circa 30 miliardi di dollari) immessi sul mercato.

Si tratta di misure tampone, ben accolte alle Borse di Shanghai (+2,2%) e Shenzhen (+3,2%), ma comunque buone solo per limitare i danni. Che, comunque, saranno ingenti. Non potrebbe essere diversamente, visto che la serrata da virus sta proseguendo. Fra tutte, l'industria dell'automobile è quella che più fatica a riprendere i ritmi normali: Toyota ha rimesso in moto le linee di produzione in due impianti (Changchun e Guangzhou), ma in altri due le catene di montaggio sono ancora ferme; alla Nissan i cancelli restano chiusi a Dalian, mentre i lucchetti sono stati tolti a Guangzhou; Honda e Madza hanno riavviato a scartamento ridotto la produzione in tre fabbriche.

Le prospettive non sono incoraggianti. Uno studio di Dun&Bradstreet, basato sull'analisi delle province cinesi più colpite dal Covid-19, ha calcolato che l'epidemia e il conseguente blocco potrebbero avere un impatto su oltre 5 milioni di imprese a livello mondiale. In assenza di miglioramenti sostanziali a breve termine, le ricadute sull'economia globale saranno pesanti. Soprattutto in Paesi dove la febbre da recessione sta salendo.

Il Giappone è tra questi: nel quarto trimestre il Pil è sceso di un agghiacciante 6,3% su base annua, il peggior risultato da sei anni, abbinato a una contrazione dei consumi pari al 2,9% e a una frenata di esportazioni e investimenti aziendali. Decenni di politiche monetarie lasche non sono serviti a nulla. Sol calante.

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