Politica

Perché il Cavaliere non è divisivo

Bisogna distinguere tra chi ha chiesto di scegliere tra sé e gli altri per il vantaggio del proprio partito o di una minoranza e chi invece l'ha fatto cercando il bene del paese

Perché il Cavaliere non è divisivo

Se c'è qualcuno che può aspirare al Quirinale ed è il meno «divisivo» di tutti, questi è Silvio Berlusconi. La parola in sé non ha molto senso e ne riveste ancora meno se applicata a un uomo politico: la politica almeno in democrazia è scelta, quindi divisione. Semmai bisogna distinguere tra chi ha chiesto di scegliere tra sé e gli altri per il vantaggio del proprio partito o di una minoranza e chi invece l'ha fatto cercando il bene del paese. Il primo tipo è un politico di partito, il secondo un politico della Nazione, un «patriota» insomma. E certamente Berlusconi non è mai stato un politico di partito: la sua Italia, quella moderata, conservatrice e liberale, era ed è quella della maggioranza degli italiani. Peraltro un'Italia inclusiva contro quella di minoranza della sinistra, fondata sul disprezzo antropologico degli altri. O ci vogliono convincere che al Quirinale sarebbe meglio non salisse un politico? Ma non ci pare di avere sentito il nome di artisti o scienziati, candidati a una funzione che è eminentemente politica. Berlusconi quindi è stato un politico della Nazione: si potrebbero citare numerosi esempi dal 1994 a oggi ma vogliamo soffermarci solo su quelli degli ultimi anni, sei momenti in cui Berlusconi ha dimostrato di essere un politico della Nazione, un patriota, e non un politico di partito e uomo di parte. Primo evento: nel 2011, quando decise di dimettersi pur disponendo ancora della maggioranza. Secondo: quando pochi giorni dopo agevolò, in nome della emergenza nazionale, il governo Monti. Terzo: dopo le elezioni del 2013, che stava per vincere, l'appoggio al governo di unità nazionale guidato da Enrico Letta. Quarto: con Renzi segretario del Pd il cosiddetto «patto del Nazareno» per riscrivere le regole. Quinto: con la pandemia, decise di accettare la richiesta di una politica di solidarietà sul covid da parte del governo Conte, pur restando all'opposizione. Sesto e ultimo: il via al governo Draghi e il sostegno convinto ad un esecutivo di unità nazionale, necessario per gestire, oltre alla pandemia, gli aiuti europei. Quasi tutti passaggi, soprattutto quelli pro Monti e pro Letta, che Berlusconi pagò in termini di consenso elettorale del proprio partito. Ma necessari quando il paese si trovava in uno stato di emergenza, finanziaria, politica e poi a un certo punto sanitaria. Il politico della Nazione si vede quando la patria è in pericolo: allora il suo partito passa in secondo piano ed egli diventa pronto a stringere patti anche con chi ha cercato di ucciderlo politicamente. In tal modo però mettendo in protezione il paese.

Quanti dei possibili candidati al Quirinale possono vantare il credito di avere difeso la Nazione? Non saranno stati «divisivi» ma certo l'Italia non l'hanno mai salvata.

Commenti