I giovani. Sono loro la chiave di tutta questa storia. Sia per spezzare la catena dei contagi e proteggere dal virus i loro genitori e i loro nonni. Sia perché anche loro vengono colpiti dall'infezione. Va detto, i casi gravi non sono tanti ma, ad esempio in Lombardia, zona rossa per eccellenza, su 440 malati in terapia intensiva, 35 hanno tra i 25 e i 49 anni. Più aumentano i numeri, più numerosi sono anche gli under 50 colpiti. E questo significa che la priorità in terapia intensiva verrà data a loro e non agli anziani più fragili e malandati. Per questo è importante che non vengano contagiati anche loro. Al San Raffaele da quattro giorni è intubato in rianimazione un ragazzo di 18 anni. Nessuna patologia pregressa. È stabile e si spera possa rimettersi come è accaduto a Mattia, il paziente uno di Codogno, 38anni, che, dopo 18 giorni in terapia intensiva, ha recuperato l'autonomia respiratoria ed è stato trasferito in un reparto di cure sub intensive al San Matteo di Pavia. Si è detto in tutti i modi che i giovani non moriranno per questa infezione, soprattutto quelli in salute, ma ognuno è stato a contatto con gli amici, con chissà quante altre persone. Ed è stato un pericoloso vettore di contagio, consapevolmente o meno. Insomma, è ovvio che i contatti di un trentenne siano più numerosi, ravvicinati, casuali e disordinati rispetto a quelli di un anziano. Ma se questa epidemia si è diffusa così velocemente è anche per quella quota di irresponsabilità degli studenti fuori sede che sabato sera, mentre è circolata la bozza del decreto, hanno preso d'assalto la stazione Centrale per fuggire al Sud. Senza porsi il problema di un tampone, di un isolamento, del rischio di tornare a casa e contagiare l'intera famiglia. Senza senso civico, insomma. Se le immagini dei binari affollati hanno scandalizzato tutti noi, spettatori impotenti sui social, hanno letteralmente mandato su tutte le furie l'Istituto superiore della sanità, che si è visto mandare in frantumi in poche ore il piano di sicurezza sanitaria costruito con enorme fatica.
Per questo Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di Malattie infettive dell'Istituto superiore di sanità, ieri ha lanciato un ulteriore appello ai giovani «fuggiti dai divieti» e a quelli che ancora alzano le spalle di fronte all'allarme coronavirus. «Lo slogan sto a casa è un po' semplificatorio: stare all'aria aperta a un metro di distanza, farsi una corsetta, sono tutte cose che si possono fare. Non è il coprifuoco - ha spiegato intervistato alla trasmissione Circo Massimo su Radio Capital -. Io mi rendo conto sia difficile tenere a casa i ragazzi ma bisogna cercare di convincerli. Loro stessi sono a rischio infezione, anche se hanno un rischio di malattia grave molto basso rispetto agli anziani. Avranno genitori e nonni da proteggere. Quindi bisogna che stiano attenti. E poi non vogliamo vedere più scene come quelle dell'assalto ai treni. Un momento veramente indecente, a cui speriamo di non assistere mai più».
E l'appello va anche agli influencer, mai così importanti come adesso. Loro arrivano anche ai ragazzi che non guardano i tg e non leggono i giornali e possono essere un tramite fondamentale per far capire l'importanza dello stare a casa.
A tirare in mezzo la categoria dei divi del web è Massimiliano Cavallo, esperto di public speaking: «In questo momento di grande emergenza, in cui la chiusura delle scuole ha ridotto la forza di sensibilizzazione dei docenti verso gli studenti spiega - è fondamentale il ruolo degli influencer nel responsabilizzare i giovani ad adottare le misure restrittive raccomandate dall'autorità per contenere l'emergenza Covid-19».
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