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Il perdente di successo habitué al Tavoliere del Potere

Pugliese, camaleonte, eterno vassallo del leader di turno, ha provato tutte le sinistre possibili (e anche un po' di destra)

Il perdente di successo habitué al Tavoliere del Potere

Per capire lo spessore politico di Francesco Boccia, gran puparo di Pulzelly Schlein, si può citare la celebre dichiarazione: «Elly rappresenta la speranza di un cambiamento epocale che la sinistra aspetta da tempo. Con lei alla guida del Pd torneremo a vincere». Voto alla spocchia: 10. Alla preveggenza: 2.

Eterno Numero 2, sempre braccio destro di qualcuno di sinistra, intramontabile assistente civico del capo di turno, una vita sotto il sole di Puglia all'ombra del potere e un cursus honorum che eccelle nel ricicciarsi - da cui il soprannome: «Ciccio» Francesco Boccia, da Bisceglie, Vescégghie, circoscrizione elettorale Barletta-Andria-Trani, terra di santi, polipetti in pignata e di Don Pancrazio Cucuzziello, è probabilmente il più grande perdente di successo della storia della Seconda Repubblica. Mai preso un voto, mai vinto un'elezione, mai guidato una corrente ma infilandosi in tutte, fra massimalisti, riformisti, clan e famigghie. Come il sughero, e gli strunzi, sta sempre a galla. Negli anni Ottanta, ancora studente, sedeva già al Tavoliere della Dc. Poi, Sta ci ha vìnde, sta ci ha pèrse, è stato con D'Alema (che lo candidò alle primarie per la presidenza della Regione Puglia contro Vendola, che straperse due volte...), con Prodi (che lo fece Commissario liquidatore del Comune di Taranto), con Letta (che è stato il suo demiurgo), poi renziano («Io amico di Letta scelgo Renzi: è lui la sintesi tra Ulivo e futuro»), a lungo controfigura di Michele Emiliano, zingarettiano quando è servito, moderatamente draghiano, ponte pericolante fra Pd e CinqueStelle («Conte è un alleato serio e affidabile», cioè il contrario di lui) e poi tra i primissimi a scommettere su Elly Schlein. La quale lo ha ripagato delegandolo a trattare le nomine in Rai, dimenticandosi chi è la moglie e cosa fa in tv... È giust. Meta-morfosi e metà opportunista. Come si dice dalle sue parti, Ci cangia ddefrisca. «Chi cambia sta meglio». Difficile trovare qualcuno, a parte il rider che consegna le pizze al Nazareno, che ha fatto più giri di Francesco Boccia attorno alla Sinistra. E ogni volta rimangiandosi quello che aveva detto prima. «È solo a Bocce ferme che si vede chi ha fatto il punto». Sarà per questo che si muove tanto.

Chi ha detto che la capacità di contenere moltitudini è nel Dna di Francesco Boccia?

Dna apulo, apolide (dalla Puglia imperiale a Milano, da Londra a Roma), biscegliese a metà strada fra la Volturara Appula di Giuseppe Conte e la Ceglie Messapica di Rocco Casalino - la gauche alle cime di rapa - 55 anni e in politica dai tempi del Dolmen della Chianca, una giovinezza dorata come la panatura delle cozze fritte, quando i Boccia guidavano con mano capitalistica una fiorente azienda tessile e «Ciccio» giocava felice in un villone con decine di stanze e campi da tennis, una Laurea minore a Bari e poi però un master alla Bocconi, università della quale gli sono rimaste le camicie Oxford e l'occhialino da professore tendenza London school of Economics; quindi il matrimonio di larghe intese e dialetto stretto con Nunzia De Girolamo, Nostra Madonna del Sannio, Forza Italia e un debole per la tv (e non staremo a fare la battuta che il camaleontismo politico di Boccia è affinato dall'abitudine di andare a letto tutte le sere con la destra), una crisi di mezza età brillantemente superata col solito selfie nudo in bagno, deputato della Repubblica dal 2008, tre sinistre fa, e oggi Senatore; una passione per i calcio che gli ha riservato persino più delusioni della politica (è juventino e attaccante della Nazionale di calcio dei Parlamentari, ma i gol fatti sono come le preferenze prese: pochi), attico terrazzato alla Balduina, col Cupolone a vista, Francesco cicc' cott' Boccia dopo 35 anni in politica è incredibilmente percepito come il nuovo che avanza. Inteso come «avanzo», non come verbo di moto. Ciao Maschio...

Maschio con un debole per le bedde mujere, ambizioso come solo i provinciali del Sud sanno essere e fedele al proverbio salentino per cui Senza Santi nu sse ae am Paraisu, non si capirebbe che Frankenstein sia Francesco Boccia se non si spiega chi è il suo Santo e da quale ircocervo politico-antropologico provenga. Il primo è Enrico Letta, il secondo è il think tank estivo che si tenne dal 2005 al 2012 nella cittadina trentina di Dro, da cui il nome «veDrò», sul lago di Garda, da cui l'espressione «Ma Garda un po' chi c'è...», noto appuntamento politico-lobbistico, un po' felice comitiva dei post-Boomers in carriera, un po' setta salottiera, un po' prova generale di un futuro Grand Rassemblement senza pregiudiziali ideologiche, al di là della destra e della sinistra, anzi: che tenga dentro la destra e la sinistra. Voluto da Enrico Letta, nipote di suo zio, e organizzato dalla sua factotum Benedetta Rizzo, già fidanzata di Boccia lei porta lui, lui porta i salumi di Bisceglie, poi lui conosce Nunzia De Girolamo e da quel momento, berlusconiana lei, antiberlusconiano lui, fanno coppia fissa ogni anno alla convention bipartisan «veDrò», tra un working group trasversale e un cocktail sul prato della ex centrale elettrica di Fies, raccolse il meglio del peggio della finanza, della comunicazione e della politica. Tra cui: il piddino Ernesto Carbone, inventore del «Ciaone»; Andrea Orlando, Maurizio Lupi e Beatrice Lorenzin; Giovanni Floris; il montiano Lelio Alfonso; Corrado Passera e Della Valle quando vollero «fare delle cose» in politica; Angelino Alfano e l'azzeccagarbugli del Cavaliere Maurizio Paniz; Dino Giarrusso quando era solo una Iena, Roberto Cingolani et alii... Più che un coagulo, un mischione. La mission di «veDrò» doveva essere «vedere l'Italia del futuro». Servì a sistemare tutti: i partecipanti ci videro benissimo nel scegliere le future poltrone, Letta chiuse il think tank appena diventato premier e poi Renzi raccolse i frutti. Intanto, nel dicembre 2011, Nunzia del Pdl e Francesco del Pd - la coppia più plasticamente iconica della convention - si erano sposati. E la cosa ai «vedroidi» piacque molto.

Cose che piacciono a Francesco Boccia: gli ziti di Gragnano con cui lo conquistò la moglie Nunzia, ricordare il suo amico (di destra) Franco Califano, le pittole, le commissioni Bilancio, le giornaliste di Sky, le supercazzole arcobaleno della compagna Elly, fare le vacanze nella villa a Pantelleria di Myrta Merlino e Tardelli, la tribuna Monte Mario all'Olimpico gratis - patate, cozze, checozze e il potere a scrocco e gli F35, con i quali, e non fu una bella gaffe, «si spengono incendi, si trasportano malati, si salvano vite».

Cose che non piacciono a Francesco Boccia: le autonomie, i politici del Nord, il Nord, essere fatto passare per un vecchio democristiano, dover guardare la moglie Nunzia strusciarsi con quel manzo catanese di Raimondo Todaro a Ballando con le stelle, fare le interviste doppie con lei sui giornali gossippari, i no-vax (Boccia è il genio che si inventò le ronde anti-Covid), le primarie del Pd, il Pd in generale, le multinazionali del web, dover scegliere fra la demagogia piddì e la demagogia grillina, le inchieste del Fatto quotidiano sui plagi accademici (i suoi); e fare previsioni.

A proposito delle quali, per fare il paio con quella su Elly Schlein - 'Mbìzze la rècchie e séinde bboune! - va ricordato quello che Francesco Boccia disse sotto il palco del comizio di chiusura della campagna elettorale di Letta, a Piazza del Popolo, il settembre scorso, prima della nota débâcle. «La vedo molto bene».

Dài, dobbiamo solo aspettare. Appena cadrà Elly Schlein lo vedremo all'Isola dei famosi.

In coppia.

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