Ci muoviamo da più di un decennio nell'era post bipolarista eppure continuiamo a ragionare con le categorie del passato. Una di queste è la finzione del «candidato premier», tale non solo per il carattere parlamentaristico della Costituzione, ma anche perché l'ultimo candidato a diventare davvero presidente del Consiglio fu Berlusconi nel 2008. Si tratta di una sopravvivenza del bipolarismo che, tuttavia, ingessa le coalizioni e crea effetti distruttivi. La soluzione, escogitata di recente, che guiderà la coalizione che guadagnerà anche un solo voto in più, non pare praticabile: anche perché chi decide, prima del voto, chi avrà più consensi? Non certo i sondaggi. C'è poi il problema, messo in luce dal direttore Minzolini, che chi si trova alla testa dell'alleanza dovrebbe rappresentarla tutta e in più intercettare voti nuovi. Le elezioni, tranne rari casi, si vincono al centro: non vuol dire essere centristi ma guadagnare i cittadini non polarizzati, cioè la maggioranza relativa. Ma poi dopo le elezioni? Anche se la coalizione spostata a destra vincesse, dovrà pur governare e si sa, è molto più difficile mantenere il potere che conquistarlo. Ora qui l'obiezione è che se la volontà popolare ha deciso, così dovrà essere. Ma possedere la maggioranza dei voti è condizione necessaria: non sufficiente. In un paese vincolato da accordi internazionali, integrato nella Ue e in un'alleanza militare come la Nato, con un debito pubblico ingestibile, chi guida il governo deve rassicurare di non far saltare il sistema. Ora né Matteo Salvini né Giorgia Meloni possiedono al momento le caratteristiche di rappresentare tutta la coalizione: quanto alla «cultura di governo», i loro nomi non tranquillizzano quei poteri con cui l'Italia deve fare i conti. I leader possono naturalmente cambiare: in parte Salvini, con la proposta del Partito repubblicano, sembra andare in quella direzione, invece Meloni evoca un'azione in solitaria, il cui unico effetto consisterebbe nello stare all'opposizione. Se il centrodestra ambisce invece a qualche chance, dovrà individuare una figura autorevole di saggio, o di saggia, proveniente dalla propria storia politica, dotato di un'esperienza di governo importante, che presieda il governo in caso di vittoria, mentre i leader di Lega, Fratelli d'Italia e Forza Italia saranno gli azionisti principali dell'esecutivo.
Non un «papa straniero» o un «tecnico», ma qualcuno che garantisca al governo di non crollare dopo tre mesi sotto i colpi dello spread. Un passo indietro dei vari leader per farne compiere uno alla coalizione: sempre che si sia interessati a farla vivere.
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