Risolto il braccio di ferro sul premier, impostata la soluzione per i ministeri la nuova maggioranza si incarta sul programma di governo. La competizione sta avvenendo secondo la tradizione cara alla sinistra, quella che il leader socialista Pietro Nenni sintetizzò così: «Gareggiando a fare i puri, troverai sempre uno più puro che ti epura». Cinque stelle e Pd oggi sono impegnati in una gara sui temi economici. Il risultato è una sintesi del peggio di entrambi i partiti.
Ci sono già documenti scritti che circolano. Ci sono le dichiarazioni di dem in ascesa, quelle del segretario Nicola Zingaretti ed infine lo sbotto di ieri di Luigi Di Maio. Mettendo insieme tutto diventa chiaro cosa c'è da aspettarsi dal nuovo governo.
I sospetti su un esecutivo basato sul «tassa e spendi» sono diventati certezze. Con buona pace del favore con il quale l'Unione europea ha accolto il Conte bis, sia M5s sia Pd sono intenzionati a rompere i precari equilibri raggiunti da Tria sugli obiettivi di finanza pubblica. Si chiede di ottenere più flessibilità e di arrivare sulla soglia del 3% del deficit, esattamente come fece Matteo Salvini. L'alternativa è utilizzare tutti i margini di risparmio disponibili.
Zingaretti ieri ha detto che dal calo dello spread arriveranno risorse da utilizzare per politiche espansive. Altri presunti tesoretti spuntano dalla minore spesa per Quota 100 e reddito di cittadinanza. Coperture inesistenti, visto che l'Europa si aspetta che vadano comunque a riduzione del deficit.
Non va meglio quando si passa al come si vorrebbero spendere quei soldi. Le ricette fiscali si ispirano a titoli scontati come il taglio del cuneo fiscale. Ma quello che sta emergendo è un ritorno, in versione allargata, degli 80 euro di Renzi. Misura data per spacciata, che ora si vorrebbe invece rafforzare.
Dal paniere di politiche pubbliche del precedente governo tornano le misure bocciate da imprese e sindacati. Nessun ripensamento sul reddito di cittadinanza (al contrario si procede con le assunzioni dei navigator). Avanti tutta sul salario minimo per legge. Il Pd sembra avere dimenticato che rischia di aggravare il costo del lavoro per 7 miliardi.
Nella sintesi del peggio ci sono le infrastrutture. Ieri Di Maio ha sparato il no a trivelle e inceneritori come un'arma. Ma nel Pd già si dà per scontato che bisognerà pagare pegno all'alleanza rinunciando agli investimenti in opere pubbliche. Il Pd, partito legato alle ex municipalizzate che gestiscono (a volte bene) servizi pubblici, sarà costretto a mandare giù anche il no all'acqua «privata», sulla scia delle posizioni pentastellate più di sinistra. Uno scenario simile a quello dei governi Prodi, alle prese con Rifondazione comunista.
Gli aumenti delle tasse non sono dichiarati. Si nascono nelle pieghe delle politiche «green», dicono gli insider. E anche nella revisione delle tax expenditures. Ieri di Maio ha detto che non ci devono essere patrimoniali.
Nel Pd in tanti la vogliono. Se la competizione tra i due partiti andrà avanti, non potrà che emergere la necessità di trovare altre risorse e allora potrà rispuntare anche un aumento della pressione sui beni degli italiani.
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