In un celebre aforisma, Winston Churchill sottolineò che «molte persone vedono l'impresa come una tigre feroce, da uccidere subito; altri come una mucca da mungere; pochissime la vedono com'è in realtà: un robusto cavallo che, in silenzio, trascina un pesante carro». La prima immagine alludeva ai nemici ideologici del capitalismo, ai rivoluzionari di professione proiettati verso il paradiso del socialismo, ma oggi è chiaro che l'impresa può morire anche per altre mani, quando la mungitura si fa troppo intensa e quando il carro diventa troppo pesante.
In Italia sta succedendo proprio questo. Un crescente aumento della pressione fiscale sta un po' alla volta distruggendo l'economia e, di conseguenza, sta riducendo l'ammontare delle entrate. Chi non va in Ticino o in Carinzia, ragiona su come tirare i remi in barca. E in tal modo l'espropriatore si manifesta assai poco saggio: sottraendo risorse con tale intensità sta infatti andando anche contro i propri interessi, un po' come uno schiavista che uccida gli uomini di sua proprietà a colpi di frusta.
Nel gergo economico tutto questo è rubricato alla voce «legge di Laffer», dal nome di un economista che fu anche consigliere del presidente Ronald Reagan e che tracciò un semplice diagramma a indicare che, oltre una determinata soglia, l'aumento della percentuale di ricchezza tolta all'economia privata non si converte in entrate crescenti. In un ragionamento al limite, dove la tassazione fosse pari al 100% ben pochi lavorerebbero e lo Stato avrebbe entrate al lumicino.
Questo è noto da tempo e ben prima di Laffer. È un concetto che si trova in Luigi Einaudi, ma pure in molti economisti classici. Quando la tassazione rimane modesta, un incremento delle (...)
(...) aliquote è accompagnato da maggiori entrate, ma se si arriva a livelli assai elevati è evidente che l'effetto depressivo ha effetto perfino sui conti pubblici.
Sembrano confermarlo taluni dati delle ultime ore, che indicano un calo del 7,7 per cento delle entrate tributarie pubbliche a giugno. Non è detto che questo dato relativo a un solo mese sia di semplice lettura, ma è fuori discussione che l'Italia stia morendo di Stato, di troppo Stato, e non ci sarà nulla di sorprendente nel fatto che alla fine anche l'apparato pubblico finirà per restare a secco. Per giunta, i dati forniti dalla Banca d'Italia misurano a meno 1,3 miliardi di euro le entrate del primo semestre del 2014: e questo è un dato davvero significativo.
Per questo non può stupire l'escalation di notizie drammatiche di questi ultimi giorni, dalla nuova recessione, all'allarme di Moody's, fino all'incontro dell'altro ieri, che doveva rimanere segreto, tra il premier Matteo Renzi e Mario Draghi, il presidente della Bce che la scorsa settimana aveva ventilato il commissariamento di un'Italia che non riesce a fare riforme. Un faccia a faccia avvenuto a breve distanza da un colloquio Renzi-Napolitano, in un clima economico sempre più simile a quello, da tregenda, dell'estate del 2011.
Quindi, invece che immaginare nuove opere pubbliche, altre assunzioni, mance da 80 euro e chissà quali piani di sviluppo, il governo dovrebbe partire da qui. Dalle tasse che stanno strozzando il Paese. Avendo presente che la pressione tributaria non conosce la sola forma delle imposte, delle tasse e di ogni altra sottrazione forzosa di denaro. Imprese e famiglie vengono private della loro ricchezza anche dalla regolamentazione, ossia dal dilatarsi di leggi che impediscono ai proprietari di un bene di esserlo davvero. Da anni l'Istituto Bruno Leoni mette in evidenza, con l'«Indice delle liberalizzazioni», come sulla nostra economia gravi non solo una tassazione da esproprio, ma anche una regolamentazione intrusiva e illiberale oltre ogni ragionevolezza. Ci tolgono ricchezza tassandoci, ma anche impedendoci di disporre di casa nostra.
A questo punto è urgente una svolta liberale, che riduca gli organici dello Stato, che tagli aiuti e sovvenzioni, che sfoltisca le norme e i regolamenti. È necessario che la retorica che ha dominato il dibattito pubblico negli ultimi anni si traduca in fatti. In tale situazione non c'è più da fare appello all'intelligenza o al senso di giustizia dell'apparato politico-burocratico: c'è da invitare questi signori a considerare i loro stessi interessi.
Se quello che fu un robusto cavallo non viene sgravato da imposte e se non si comprende che la sola strada per
sperare di sopravvivere consiste nel rovesciare il rapporto tra settore pubblico e settore privato, anche per i frequentatori della buvette di Montecitorio e i grandi commis di Stato non si annunciano tempi molto felici.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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