Il piano di Renzi: ritirare le ministre prima del voto sul Recovery Fund

Matteo vuole giocare d'anticipo per non essere accusato di creare ritardi dannosi

Il piano di Renzi: ritirare le ministre prima del voto sul Recovery Fund

Paradossi di una «crisi». Mentre il governo crolla Roccobello Casalino se la prende con i giornalisti che non comprendono le mille qualità del premier. «È il miglior governo chatta degli ultimi quaranta anni. Possibile che non ve ne rendiate conto: ha avuto solo successi dal Recovery Fund a tutto». Un'opera di persuasione vivace, che ricorda per enfasi una «televendita» di Wanna Marchi. Se questa è la convinzione di Palazzo Chigi immaginate come possano essere stati trattati l'altra sera gli emissari di Italia Viva nel vertice di maggioranza, circondati dalle altre delegazioni e da tutti i ministri. Li hanno messi in mezzo in una sorta di processo: con Roccobello che inviava veline fuori per dimostrare che i renziani sono solo peracottari, a cominciare dalle ironie sul ponte di Messina.
Paradossi di una crisi. Ad un amico che gli chiedeva se lo schema «Conte o morte», dettato da Goffredo Bettini detto «er monaco», fosse la sua posizione, Nicola Zingaretti, in un sussulto di coraggio ha risposto: «Vanno tutti da Bettini e non capisco perché, visto che non ha nessun incarico nel partito». Ovviamente la stima tra i due è totale, ma sta di fatto che nel suo intervento in direzione dell'altro giorno per il leader del Pd le elezioni anticipate vanno scongiurate. E senza quell'arma Conte è un Re disarmato. Tant'è che da quel giorno Dario Franceschini, ha cominciato a giocare ancor più in difesa e alzare il sopracciglio anche sull'ipotesi del Conte Ter, non si sa se per intralciare le tecniche di battaglia renziane o perché si sente egli stesso in odor di Palazzo Chigi: «Con un governo del genere, con un Conte Ter, Renzi ci farà ballare ancora di più. Non mi meraviglierebbe se entrasse nel governo o cominciasse a venire in prima persona alle riunioni di maggioranza».
Già, Matteo Renzi. Per lui si potrebbe usare la frase con cui Cesare varcò il Rubicone: il dado è tratto. L'ex premier non tornerà indietro: anche perché in caso contrario, a questo punto, la perdita di credibilità sarebbe totale. Ergo, la crisi «nascosta», la crisi «virtuale» sta per essere formalizzata. L'ipotesi che il leader di Italia Viva possa rientrare in un governo guidato da Giuseppe Conte bis, ter o quater, sembra di giocare a tombola - è assai, assai remota se non praticamente impossibile («non la vedo proprio», dice il leader di Italia Viva). Si tratta di quegli epiloghi che sulla carta sono possibili, ma in pratica no. Resta da scoprire come Renzi giocherà la sua partita nei rituali della «crisi»: al momento è tentato di ritirare i ministri ancor prima del voto sul Recovery Fund per non essere accusato di essere la causa di ritardi che vanno a scapito del Paese; poi se votarlo o meno lo deciderà in Parlamento (del resto nella prima bozza del Piano e la seconda c'è stato solo un maquillage contabile). Sono tutte variabili tattiche di una guerra già dichiarata. A quel punto bisogna vedere cosa farà Conte che per ora temporeggia solo. Se imboccherà cioè la strada pericolosa della parlamentarizzazione della crisi, o, magari, salirà direttamente al Colle dopo le dimissioni dei ministri di Italia Viva. Anche perché per ora i voti per sopravvivere nell'aula di Palazzo Madama non li ha e una sfiducia del Senato gli precluderebbe definitivamente la strada ad un teorico esecutivo «ter».
La verità è che nello scontro mentre Conte ha una sola strategia e un solo obiettivo, quello di preservare se stesso e restare a Palazzo Chigi, Matteo Renzi ne ha almeno tre. E questa è una condizione di favore innegabile. «Deve essere Conte è il piano di battaglia che da giorni spiega ai suoi ad assumersi la responsabilità della conta. A me vanno benissimo tutte le opzioni. A) Se perdo al Senato vado all'opposizione e riacquisto la faccia. Sarei stracontento. B) Vinco e allora è ovvio che Conte, sbagliando i conti, scusate la cacofonia, si fa fuori da solo e magari questa maggioranza riesce a trovare l'accordo per un governo più forte con un altro premier per arrivare alla fine della legislatura. C) C'è l'ipotesi di un governo tecnico o chiamatelo come vi pare. Il Pd ora dice no? Ma basta quardare alla storia per scoprire che il Pd è a favore di un governo tecnico per antonomasia. I possibili premier non mancano, a cominciare da Draghi, ma il nome va concordato con l'opposizione. E penso davvero che questa volta almeno una parte dell'opposizione ci starà».
Tante alternative mentre Conte ha un unico piano di battaglia: ci sono solo io. Il che lo rende irrimediabilmente scontato. Ecco perché il premier le sta provando tutte per trovare alleati o quadri politici alternativi che gli permettano la permanenza a Palazzo Chigi. Rastrella responsabili (invano), cerca interlocuzioni dentro quella parte di opposizione che gli è più funzionale, come pezzi di Forza Italia. Ma si tratta di operazioni di corto respiro, con potenziali alleati che pensano ad altro. Uno dei più gettonati interlocutori del premier è l'azzurro Renato Brunetta, che, però, ha una strategia tutta sua. «Anch'io penso spiega che Renzi sia una iattura. Penso anche che debba essere messo in sicurezza il Paese trovando un accordo parlamentare sul Recovery Fund. Poi per la gestione, però, bisogna pensare ad altro. Che sia un governo Conte o un altro poco importa, lo sbocco deve essere il governo di unità nazionale. Se Conte troverà pezzi di moderati per avere la fiducia? I gatti solitari già li ha presi nelle scorse votazioni, ma non gli bastano. Pezzi di senatori organizzati, invece, non penso che abbiano interesse ad appoggiare il suo governo».
Insomma, interlocuzioni difficili. Mentre Renzi ha almeno un tratto di strada in comune da percorrere con Salvini e lo stesso Berlusconi: far fuori Conte. Un tratto di strada che per la prima volta non esclude una seconda tappa: Salvini e con lui, per forza di cose anche il Cav, non sbatte, infatti, più la porta in faccia ad un governo che abbia una larga maggioranza.

Lo fa capire in tutte le salse e un motivo c'è: sarebbe il modo migliore per riposizionarsi a livello internazionale, sia nel rapporto con l'Europa che con la nuova amministrazione americana, dove l'altro Matteo è ben introdotto mentre Conte no. Certo Salvini non può puntare a un'alleanza, ma almeno può provare a scongiurare una scomunica a priori per il futuro. È un'esigenza comune a tutti gli orfani di Trump.

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