Piano salva-banche a spese nostre

Il progetto "bad bank" allo studio del governo vorrebbe salvare gli istituti in difficoltà colpendo i nostri immobili

Piano salva-banche a spese nostre

Milano - Domanda agli italiani: cosa sareste disposti a fare perché i banchieri riprendano a finanziare le imprese impigliate nella recessione? Vi fareste mettere le mani sulla casa? La risposta è scontata: no. Eppure sembra proprio che il progetto di bad bank allo studio del governo vada in questa direzione per salvare capre (i prestiti alle imprese) e cavoli (i conti delle banche).

In ballo c'è la creazione di una società per gestire le sofferenze bancarie (in sostanza i prestiti che gli istituti non riescono a riscuotere) balzate in maggio a 193,7 miliardi. Lo scorso 14 luglio il ministro del tesoro, Pier Carlo Padoan, è volato a Bruxelles per un incontro con i commissari della Ue e sul tavolo ha messo i compiti a casa fatti dall'Italia: la riforma delle banche popolari, l'autoriforma delle fondazioni, e il decreto che non consente più di spalmare su cinque anni, ma la concentra nell'anno in cui è maturata, la deducibilità dei crediti svalutati dalle banche. Iniziative che dovrebbero bastare per ottenere entro l'estate il via libera al progetto per la creazione di una società specializzata per l'acquisto dei cosiddetti crediti deteriorati.

Sul fronte operativo, il vero colpo di acceleratore arriverebbe dai nuovi vertici della Cassa Depositi e Prestiti. Ovvero un ex banchiere di Goldman Sachs come Claudio Costamagna, e Fabio Gallia, neo amministratore delegato della Cdp, ex Bnl ma anche ex condirettore generale di Capitalia che era stata pioniera nel creare delle società veicolo (le Trevi) in cui «isolare» i crediti in sofferenza. Senza dimenticare che nel cda della Cassa siede anche Alessandro Rivera, capo della direzione Sistema bancario e finanziario-affari legali del Tesoro e da mesi in costante confronto con Bankitalia sul progetto di bad bank .

Non solo. Secondo Mediobanca Securities la «nuova» Cassa potrebbe fare da garante ai crediti in sofferenza delle banche favorendo soprattutto i piccoli istituti, radicati sul territorio. Il ruolo di Cdp potrebbe, dunque, essere determinante per la soluzione al dilemma: creare una bad bank che riceva garanzie statali contro eventuali perdite ma che rispetti le regole europee sugli aiuti di Stato. Un altro nodo da sciogliere riguarda il valore di carico delle sofferenze in capo alle banche che non è quello che il mercato è disposto a pagare. La soluzione potrebbe essere quella di mettere una garanzia pagata dalle banche stesse con un meccanismo di ammortamento del suo costo lungo la «vita» della società veicolo che si va a costituire con la bad bank . Ma in cambio le banche cosa ricevono? La risposta sta nel Dl fallimenti approvato ieri alla Camera.

Il gap di prezzo può essere, infatti, colmato dalla riduzione dei tempi legali all'acquisizione dei cosiddetti collateral sottostanti: a fronte di circa 200 miliardi di euro di sofferenze lorde, ci sarebbero almeno 100 miliardi di immobili messi a garanzia, da vendere con procedure forzate. Insomma, se prima gli italiani venivano cacciati fuori di casa in sette anni ora gli anni si riducono a tre-quattro. Ecco chi paga.

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