Laura Cesaretti
Roma Arcobaleni in aula, sui baveri di deputati e ministri, Maria Elena Boschi in testa. Arcobaleno fuori, che per coincidenza spunta al termine di una giornata di pioggia proprio mentre la Camera licenzia definitivamente la legge sulle unioni civili.
Passa la fiducia, con uno dei numeri più alti da inizio legislatura: 369 sì. E a sera passa il provvedimento con il voto finale e una marea di lucine verdi nell'emiciclo: votano sì il Pd, i centristi, i verdiniani e una bella fetta di Forza Italia, da Stefania Prestigiacomo a Mara Carfagna, da Renata Polverini a Elio Vito: in tutto 372. Votano no Lega, Fdi e un pezzo di Fi: 51. In mezzo al guado restano grillini e Sinistra italiana, che con notevole imbarazzo e varie scuse si astengono per non votare una legge renziana: 99. Applausi scroscianti in aula e anche nelle tribune, dove siedono esponenti delle associazioni gay venuti ad assistere a quella che in tanti definiscono «una giornata storica». Si abbracciano in Transatlantico il viceministro Ivan Scalfarotto e la prima deputata lesbica, Paola Concia: «Ci abbiamo messo trent'anni, ma ce l'abbiamo fatta». «Qualcuno avrebbe scommesso un soldo, a inizio legislatura, che in questo Parlamento saremmo riusciti ad approvare le unioni gay?», si chiede il capogruppo Pd Ettore Rosato. E non è un caso se ieri, a Montecitorio, nella festosità generale si individuavano i musi lunghi di diversi esponenti della sinistra Pd: l'idea che il cattolico Renzi sia riuscito dove gli ex Pci hanno fallito è dura da mandare giù.
«È un giorno di festa», dice Matteo Renzi, che ha messo a segno il risultato. «È una bella giornata», gli fa eco l'azzurra Mara Carfagna, a riprova della trasversalità del consenso attorno ai nuovi diritti civili. E non è un caso se il premier ha voluto fissare il voto di fiducia ieri: oggi è il 12 maggio, anniversario della grande vittoria sul divorzio, e lo si voleva festeggiare con un simbolico successo. Proteste e resistenze delle gerarchia cattoliche, che ai tempi del governo Prodi affondarono miseramente i pur timidissimi Dico, stavolta non hanno avuto eco in Parlamento, nonostante la censura del voto di fiducia espressa da monsignor Galantino a nome della Cei. La maratona parlamentare del ddl Cirinnà è stata lunga e segnata da alti e bassi vertiginosi. In febbraio al Senato, quando il Movimento Cinque Stelle ha all'improvviso fatto dietro front e rinnegato la legge, annunciando che avrebbe votato contro il famoso «canguro», le unioni civili sembravano morte. Renzi, con un coup de théâtre che portò all'accantonamento delle adozioni e a molte polemiche con una parte degli attivisti gay, ricompattò la maggioranza costringendo anche Ncd a votare la legge, con la fiducia.
Maria Elena Boschi celebra la vittoria, uscendo subito dopo il voto sulla piazza antistante Montecitorio, piena di bandiere arcobaleno e di manifestanti venuti a festeggiare: «È un traguardo storico, abbiamo approvato una legge che cambia davvero la vita delle persone. Siamo orgogliosi per il lavoro che abbiamo fatto».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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