Politica estera

La piccola dittatrice

Alla festa per i 75 anni dell'esercito di Pyongyang, Kim mostra al mondo (e alle tv) razzi intercontinentali, testate nucleari e la figlia Ju-ae. Gli analisti: "È l'investitura ufficiale"

La piccola dittatrice

Uno schieramento senza precedenti di missili intercontinentali in grado di trasportare testate atomiche fin sulla costa pacifica degli odiati nemici americani. Diciassette, un numero sufficiente, per intenderci, a superare l'attuale scudo difensivo schierato in California, se lanciati tutti assieme.

Ma questa è solo la prima metà del messaggio che il dittatore nordcoreano Kim Jong-un ha voluto inviare al mondo l'altra notte nel corso della spettacolare sfilata che ha celebrato il 75° anniversario delle forze armate del regime comunista di Pyongyang. L'altra metà ha il volto paffuto (talis pater) della sua figlioletta all'incirca dodicenne informazioni precise sulla sua età non ne esistono - che Kim si è portato al seguito presentandola ai suoi generali.

In un Paese in cui il potere si trasmette per via ereditaria fin dal 1994, quando morì il fondatore della Repubblica Kim Il-sung, e la cui stabilità è garantita unicamente dalla forza dell'esercito, questa presentazione equivale a un'investitura. Sarebbe insomma volere del dittatore che la piccola Kim Ju-ae prenda il suo posto quando lui andrà a raggiungere il nonno e il padre Kim Jong-il (rispettivamente indicati nella retorica ufficiale come il Grande Leader e il Caro Leader) nel grande mausoleo dei Presidenti Eterni.

Ma c'è tempo: intanto il «Giovane Leader» (si stima, anche qui senza conferme, che non abbia ancora quarant'anni) investe tutte le limitate risorse del suo Paese chiuso al mondo per trasformarlo in una temuta potenza nucleare, provoca gli Stati Uniti con l'annuncio di imminenti test dei suoi gingilli atomici ed esorta le sue forze armate a «prepararsi alla guerra». Il che è piuttosto inquietante, visto che oltre a essere molto vicino alla Cina di Xi Jinping, da mesi si è legato alla Russia di Putin inviandogli forniture di missili e munizioni da usare in Ucraina.

Il padre, già martedì scorso, aveva già portato con sé Ju-ae (che è la sua secondogenita) e la moglie in visita alle truppe in un altro evento pubblico cui è stato dato dai media nordcoreani il massimo risalto. Giornali e televisioni l'avevano definita nell'occasione «rispettata» e «amata», a indicare una particolare predilezione del dittatore per lei. Ieri notte, a Pyongyang, la bambina era sul palco con i genitori, elegantemente vestita di scuro. Kim Jong-un, nelle foto ufficiali, ha il volto gonfio e indossa un cappotto nero e un cappello Borsalino mentre sorride alla folla irreggimentata che citiamo i media del regime «leva alte grida di hurrà e canta il suo nome». I nordcoreani, ovviamente, non hanno scelta né alternativa: le enormi spese per gli armamenti vengono giustificate, in un Paese che costringe i suoi cittadini a stringere la cinghia per sostenerle, con le necessità della sicurezza nazionale (che in realtà è quella della famiglia al potere che vive nel lusso) e «la grande visione del Leader»: si può solo applaudirle a comando.

Non è la prima volta che Kim Jong-un mostra al pubblico la propria figlioletta e presunta erede dinastica. Nel novembre scorso erano circolate foto dei due sul sito di lancio dei mostruosi missili Hwasong-17, gli stessi fatti sfilare in maggior numero, però l'altra notte a Pyongyang.

Come se il padre le mostrasse i suoi giocattoli preferiti e, allo stesso tempo, le dicesse: «Un giorno tutto questo sarà tuo, che tu lo voglia o no».

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