Piccoli, sempre aperti e bengalesi I minimarket «lavatrici» perfette

Servono per garantire permessi ai connazionali e per spedire rimesse a casa. Il ruolo della camorra nei finanziamenti

Piccoli, sempre aperti e bengalesi I minimarket «lavatrici» perfette

Roma Li vedi lungo la strada, dal centro verso la semiperiferia, piccoli, aperti fino a tarda notte, con un solo ingresso affacciato sul marciapiede: si vende un po' di tutto, dal latte alle merendine, fino a dentifrici e detergenti per cucine e pavimenti. E poi lunghe file di alcolici che, secondo Confcommercio, costituiscono il 60% dell'incasso notturno di attività che non conoscono orario. Non dovrebbero venderli ai minorenni, ma chi si mette a chiedere i documenti? Non è un tabù la religione, figuratevi la legge. Eppure chi sta lì alla cassa è islamico, quasi sempre del Bangladesh. Questi negozi, che sono punti di approdo, sono spuntati negli anni sempre più in fretta sulla cartografia romana. La Camera di Commercio dice che oltre 13mila sono gestiti da bengalesi. I quali controllano, rivela Confesercenti, anche il 22,7% dei «minimarket» in Italia.

L'approdo Nel retrobottega storie che partono da lontano. In apparenza la ragione sociale è vendere, in realtà lo scopo principale è un altro. È un hub di accoglienza, dove il permesso di soggiorno per motivi di lavoro è garantito. E con esso la possibilità di restare nel nostro Paese a chi arriva sui barconi, dove i migranti bengalesi sono i più numerosi dopo quelli dalla Nigeria. Ciò che serve per restare è un contratto a tempo determinato. Il risultato è che oltre la metà dei cittadini bengalesi regolarmente presenti in Italia è titolare di un permesso di lungo periodo. A fronte di tanto lavoro però i soldi non restano in Italia: solo nel 2015 sono stati inviati in Bangladesh 435,3 milioni, il 97% in più rispetto al 2010. A differenza degli altri stranieri, gli affari dei bengalesi non conoscono crisi: mentre le rimesse dirette verso altri Paesi non comunitari diminuiscono del 22%, quelle verso il Bangladesh sono in aumento. Insieme alle presenze in Italia, da 91mila nel 2010, a 142mila nel 2016 (+ 55,7%).

Abdullah ha un minimarket in via Labicana. Sembra sia il proprietario. Non solo di questo, ne ha altri. In ognuno lavorano massimo tre persone. «Non ho mai assunto un dipendente che non fosse mio compaesano, persone che conosco da sempre, con cui sono cresciuto, che non stanno a guardare le 8 ore del contratto ma restano qui fino alla mezzanotte, anche le 2. In cambio gli do la possibilità di restare in Italia e rinnovare il permesso di soggiorno». Ma quante ore lavorano al giorno? «18-20, quanto serve». E quanto li paghi? «600 euro».

In corso Trieste Mostafà è l'ultimo anello della catena. Lavora da 4 anni sotto padrone, un suo «compaesano» e quando ne parla lo fa con rispetto, lo chiama «capo». «È molto meglio lavorare 12 ore al giorno in regola e non avere problemi, piuttosto che rischiare di essere cacciato». Quanto guadagna? «200 euro al mese, ho un contratto part time. Pensa a tutto il capo: mangiare, dormire, abbigliamento». È per tutti così? «No, c'è anche chi lavora per finta, gli fanno il contratto e si paga i contributi da solo e campa facendo l'ambulante».

Costi e guadagni Said sta a due passi da piazza Navona e paga un affitto di 5mila euro. Il resto se ne va per le bollette della luce, la merce, i soldi alla famiglia. Quello che resta, secondo lui, sono 400 euro al mese. Per aprire un negozio basta frequentare un corso di abilitazione, l'ex Rec. In via Merulana, servono almeno 20mila euro. Rasik ne aveva accantonati appena 500. Gli altri? «Me li sono fatti prestare da connazionali ricchi». Ed è a loro che li dovrà restituire. Questa versione, identica, la ripetono tutti. Resta una zona cieca. L'origine dei capitali. Un indizio, un sospetto, c'è. I minimarket bengalesi, sempre secondo Confesercenti, hanno un tasso di aperture e chiusure doppio rispetto a quelli italiani. Qualcuno dice che è per non pagare le multe, altri si pongono un'altra domanda.

È davvero tutto made in Bangladesh o il Bangladesh è solo una lavatrice? C'è l'ombra della criminalità organizzata che sfiora l'universo delle frutterie «bangla», che si rifornirebbero al Sud, dalla fetta di mercato ortofrutticolo campano controllata dalla camorra. E non solo di arance, ma anche di prestiti, che inghiottono gli immigrati nella piaga del racket.

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